C’è chi celebra Giancarlo Siani e poi lascia i colleghi giornalisti alla fame

Massimiliano Coccia
25 settembre 2020
“Tante volte avere il tesserino non fa di una persona un giornalista. Sovente ci si imbatte in pennivendoli sgrammaticati amanti del denaro e della notorietà facile. Essere ‘giornalista-giornalista’ è qualcos’altro. È sentire l’ingiustizia del mondo sulla propria pelle, è schierarsi dalla parte della verità, è denuncia, è ricerca, è curiosità, è approfondimento, è sentirsi troppe volte spalle al muro, emarginato. Essere ‘giornalista-giornalista’ significa farsi amica la paura e continuare comunque sulla propria strada, anche se raccontando si diventa scomodi a qualcuno”, così scriveva Giancarlo Siani ammazzato dalla camorra il 23 settembre del 1985 e sono il manifesto di un certo modo di fare giornalismo, l’unico possibile.
Siani nella sua breve carriera ha percorso velocemente tutte le tappe che si attraversano in una vita in mezzo a questa professione: lo scoraggiamento, l’invito ad occuparsi di altro, l’invidia, la denigrazione, la calunnia, la volontà di farti passare la voglia di scrivere, ma ha resistito fino a che il piombo lo ha messo a tacere.
Giancarlo Siani
Chissà quanto avrebbe potuto raccontare ancora e quanto bene avrebbe fatto averlo tra noi.
A chi lo celebra oggi ma garantisce alla professione solo precarietà, fame e mancanza di deontologia tutto il mio disprezzo.
Massimiliano Coccia

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