Se il Messaggero paga 7 euro a pezzo? Dove sono direttori, sindacati, istituzioni?

Speciale per Senza Bavglio
Cronista Furiosa
Roma, 18 giugno 2020

Sette euro fino a 2500 battute. 15 fino se il pezzo arriva a 3500, per chi non lo sapesse, circa due cartelle. Ben 20 euro, oltre le 3500, pezzi molto lunghi che in genere sono veri e propri reportage. Questi sono i nuovi compensi che il Messaggero di Francesco Gaetano Caltagirone ritiene consoni ai tempi, viste le difficoltà dovute al coronavirus e per “raggiungere un assetto gestionale di massima efficienza operativa”. I compensi salgono di qualche euro nel caso si tratti dell’edizione cartacea nazionale della testata, mentre precipitano per il sito web, come se scrivere due cartelle per la carta o il web fosse cosa diversa per un giornalista. Ma si sa, il giornalismo web è deprezzato, o meglio gli editori così hanno deciso. E allora 7 euro per un pezzo, se corredato da fotogallery 9.

Vale la pena ricordare, per chi non lo sapesse, che per scrivere un pezzo, reportage, analisi di due o tre cartelle raramente basta una giornata. Spesso si tratta di articoli per i quali occorrono anche giorni. Anche sei il ragionamento a “quantità”, cioè sul numero di battute, al quale si attengono quasi tutti i giornali, di per sé è assurdo, a meno che non si voglia asserire che il giornalismo sia un’attività “un tanto al chilo”. Scrivere 2500 battute pregne di notizie, dati, dichiarazioni  magari strappate a fatica può richiedere tantissimo tempo. Enorme fatica. Ma soprattutto: avete mai fatto una fotogallery? Significa trovare, tagliare, montare anche venti foto, inserendole nel sistema, corredandole di titolo, testo, tag. Un lavoro estenuante.
Ma tutto questo è inutile. Perché il problema non è quello che decide Gaetano Caltagirone, ma cosa fanno tutti quelli intorno a lui. I suoi direttori, vicedirettori, i suoi giornalisti dipendenti, gli stessi collaboratori. E poi ancora, ovviamente, i sindacati, ma anche i giudici (che pure agiscono dietro denuncia), e poi le istituzioni, il sottosegretario all’editoria, persino il premier o il presidente della Repubblica.
Perché il punto è: che cosa accadrebbe se domani uscisse una notizia secondo cui si venisse a sapere che il gruppo Ikea, poniamo, ha deciso di pagare i suoi fattorini 10 centesimi a consegna? Oppure se l’azienda Ferrero, un modello per quanto riguarda welfare e trattamento dei dipendenti, decidesse, e la notizia ovviamente uscisse, di pagare i suoi dipendenti dieci euro al mese? E ancora, se, per dire, l’ad della municipalizzata della spazzatura di Roma, l’Ama, decretasse, che so, di pagare 1 centesimo a cassonetto svuotato dai suoi operatori ecologici, al fine, appunto, di raggiungere massima efficienza gestionale”?
Voglio dire: come può accadere ciò che sta accadendo il Messaggero senza che mezzo mondo si rivolti? Come è possibile che si sappiamo alcuni precisi fatti e non ci siano inchieste di stampa, dichiarazioni di politici, scioperi, proteste di massa? Perché il Paese e le istituzioni, ad esempio il ministro del lavoro, hanno gridato allo scandalo per lo sfruttamento dei rider e nessuno dice una parola per la schiavizzazione di un’intera categoria di persone?
In particolare, chiedo: come possono direttori e vicedirettori del Messaggero accettare un simile sopruso per chi lavora come loro? Come possono gli stessi giornalisti dipendenti assegnare pezzi che saranno pagati sette euro? Cosa fa il comitato di redazione? Perché, anche, i collaboratori accettano simili compensi? E ancora: cosa fa il sottosegretario con delega all’editoria, il ministro del lavoro, ma anche i singoli rappresentanti politici di fronte a questo scempio?
E dove sono, accidenti dove sono, i sindacati, dov’è la Federazione Nazionale della Stampa, ma anche gli altri sindacati che pure non si occupano di editoria, Cgil, Cisl, Uil etc, perché qui comunque di lavoratori si tratta? E dov’è, anche l’Ordine dei giornalisti? E dove l’Inpgi? Perché questa storia riguarda tutti. Perché questo scandalo non può essere taciuto, solo perché tante altre testate hanno la coscienza sporca come il Messaggero e perché tra colleghi non ci si critica. Fa ridere che le varie firme dei giornali si critichino di continuo, usando sarcasmo e metafore brillanti, ma mai nessuno attacchi gli altri per lo sfruttamento dei propri lavoratori. Forse perché è un male comune?
Il punto resta questo: perché questa schiavitù alla luce del sole è consentita. Il lavoro nero, quello, si sa, si fa fatica a farlo emergere, anche se si potrebbe. Ma qui è tutto certificato, scritto. Sappiamo chi sono questi colleghi, quanto guadagnano. Lo sanno i sindacati. Lo sanno tutti.
Perché non si agisce, anche attraverso la giusta sede, ovvero i tribunali? Perché proprietari di giornali ed editori non vengono portati sul banco degli imputati per sfruttamento del lavoro, utilizzo di lavoro dipendente mascherato e violazione dei diritti fondamentali? Che cosa c’è che non funziona nel mondo del giornalismo italiano, tanto da aver portato i lavoratori a una condizione disumana eppure che nessuno conosce, là fuori?
“Il mondo deve sapere”, recita un noto e bellissimo libro di Michela Murgia. Il momento è giusto, si potrebbe fare molto, gli Stati uniti ci stanno insegnando che quando c’è rivolta i padroni tremano.
In ogni caso, resta una magra consolazione. Se la vendetta non verrà da noi, verrà comunque dai fatti. Quando presto le pensioni di quei direttori che hanno accettato questi compensi senza vergognarsi la mattina di fronte allo specchio non potranno essere più pagate. Perché non ci sono più dipendenti. Perché non ci sono più contributi.
Una vendetta triste, perché nel frattempo troppi giornalisti avranno sofferto, troppe famiglie saranno state colpite per questo. Ho visto di recente il film “Vivere”, dove uno dei protagonisti è un giornalista freelance colpito dai continui tagli degli editori. Raramente si trovano protagonisti che fanno i giornalisti precari. Ebbene, si vede nel film come anche la moglie e la figlia siano distrutti da questa precarietà. Mentre scorrevano le immagini, provavo una sofferenza indicibile. Perché pensare agli sfruttati dà dolore intenso ma contenibile, vedere le loro famiglie dà un dolore senza fine.
Come possono editori, direttori, sindacati, istituzioni non sentirlo? Come possiamo, tutti, permetterlo?
Cronista Furiosa
lacronistafuriosa@gmail.com
twitter @sbavaglio

CdR Messaggero: ingiusti i tagli ai collaboratori. Compromessa la tenuta del giornale

Care colleghe e cari colleghi,

in questi ultimi giorni i collaboratori del Messaggero (quotidiano e sito) hanno ricevuto una mail dell’Azienda che impone unilateralmente un ulteriore (e stavolta insostenibile) taglio dei compensi con effetto immediato per i pezzi forniti. Tagli che arrivano poco dopo la firma dello stato di crisi che partirà a luglio e senza alcuna comunicazione preventiva al Cdr che ha rimarcato in diverse occasioni come gli organici redazionali stiano lavorando ben oltre il limite della capienza e quanto diventi, quindi, indispensabile il lavoro dei collaboratori, che in alcune edizioni garantiscono di fatto l’uscita del giornale.

Lo smaltimento delle ferie estive, quelle pregresse (su cui era stato firmato un accordo precedente al Covid, incrementato unilateralmente dall’Azienda dopo l’esplosione dell’epidemia, nonostante la disponibilità garantita da tutta la redazione allo smart working) e i due giorni di cassa integrazione sottoscritti nell’accordo sullo stato di crisi, che andranno ad alleggerire i conti dell’Azienda permettendo inoltre l’accesso ai prepensionamenti per alcuni colleghi, appesantiranno indiscutibilmente il lavoro della redazione già in seria difficoltà. A questo si aggiungono nuove richieste adottate unilateralmente dall’Azienda, quali l’incremento delle pagine di alcune edizioni e l’incremento del lavoro sul sito appesantito ulteriormente per le redazioni locali anche dall’avvio di una pagina Facebook personalizzata.

Pur essendo consapevoli della difficile fase che stiamo attraversando, siamo rimasti stupiti di questi nuovi tagli anche per le modalità, visto che nella lettera inviata ai collaboratori viene imposta unilateralmente la decurtazione dei compensi, chiedendo però al collaboratore di rilasciare il consenso all’applicazione dei nuovi tariffari. Tutto questo nell’ottica – viene scritto nella lettera – “di riorganizzazione di più ampio respiro, già in atto, teso a raggiungere un assetto gestionale di massima efficienza operativa”. Come se “l’efficienza operativa” potesse passare solamente attraverso il taglio dei costi e non finanche a una indispensabile cura e qualità del prodotto. Così si rischia di compromettere anche il futuro di prodotti strategici per la nostra testata, divenuti punto di riferimento anche grazie al lavoro di questi collaboratori che sebbene non siano dipendenti del quotidiano, fanno a pieno titolo

parte del nostro patrimonio, sia per le competenze professionali che per l’assoluta disponibilità che hanno sempre dimostrato.

Ci ha allibito la scelta dell’Azienda di prendere una decisione simile in un momento così cruciale. Visti anche i segnali positivi che arrivano proprio dalle edizioni locali del quotidiano, abbonamenti digitali compresi, che dimostrano come il futuro debba essere orientato alla qualità dell’offerta d’informazione.

Per questo stiamo agendo in questi giorni e agiremo con la massima determinazione per tutelare questo patrimonio indispensabile per il Messaggero ed evitare che vada disperso. Il Cdr chiede a Fnsi e a Stampa Romana di intervenire a fianco dei colleghi collaboratori. Chiede altresì all’Azienda di congelare i tagli, per trovare una soluzione condivisa, che oltre a continuare a garantire al giornale una forza lavoro indispensabile, riconosca una retribuzione base rispettosa della dignità e dei compiti insostituibili che i collaboratori esterni svolgono quotidianamente.

Il Cdr

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