Giusta solidarietà ai reporter della Stampa ma per collaboratori abbandonati niente?

Speciale per Senza Bavaglio
La Cronista Furiosa
Roma, 22 febbraio 2020

La notizia era arrivata sulla mia casella di posta elettronica, ma non vi avevo fatto più di tanto caso. Si trattava dell’ennesima comunicazione di un trasferimento aziendale, in questo caso di otto persone della redazione romana della Stampa a Torino. Nel mare di crisi aziendali e tagli alle persone che ogni giorno arrivano puntuali sulla mia mail avevo archiviato la questione con un po’ di tristezza, ma nulla di più. In fondo, ho pensato, non sono stai licenziati, hanno tenuto il posto, pur con tutte le sofferenze che un trasferimento può causare.

Quello che mi ha stupito, invece, è stata l’incredibile mobilitazione di tantissime redazioni giornalistiche italiane che, praticamente in blocco, hanno fatto dichiarazioni di solidarietà verso questi lavoratori costretti a spostarsi. Sono fioccati comunicati delle agenzie, Ansa e Adnkronos, dei quotidiani, Corriere della Sera, Repubblica, Messaggero, Corriere dello Sport, di periodici come l’Espresso, giornali on line come l’Huffigton Post, e poi le tv, il Tg5, La Sette, e altri ancora.

Non era mai accaduto prima, almeno in questa forma, per una misura tutto sommato non draconiana. Eppure è facile capire il motivo di questa sollevazione. I giornalisti italiani dipendenti, una parte assai minoritaria rispetto ai freelance, si sentono da tempo accerchiati, assediati. Vivono, certamente, in un clima difficile, conflittuale, con l’ansia delle copie cartacee che calano mentre non cresce in proporzione il digitale, almeno non per tutti. Insomma si sentono sotto attacco, ed in parte lo sono davvero, e reagiscono cercando di coalizzarsi, o quantomeno manifestando la propria solidarietà. Oggi tocca alla Stampa, domani a loro.

“Mi scuso infinitamente – dice l’amministratore di un giornale in questa vignetta al giornalista che siede di fronte – ma avevo l’impressione che freelance volesse dire che lei era disposto a favorare gratis”. Un’impressione condivisa dal sidacato dei giornalisti quando aveva accettato la norma sull’Equo Compenso, avallando sciaguratamente la formula: più lavori, meno guadagni

Non ci sarebbe stato molto da aggiungere se non che lo sguardo è caduto su una mail dell’Associazione Stampa Romana che chiedeva in questo frangente alla FNSI, pure intervenuta sul caso, uno sciopero generale. E qui sinceramente mi sono sentita un po’ sgomenta. Ma come, si chiede uno sciopero generale per alcuni dipendenti spostati di sede?

Certo, si tratta di una deriva preoccupante, come ha scritto la stessa ASR, ma tale da richiedere lo sciopero generale? E come mai per la maggioranza di giornalisti, più del doppio, che non sono contrattualizzati, guadagnano una miseria – in un anno quanto un collega assunto in un mese – non si chiede eguale misura? Dov’è finito il senso delle proporzioni e come si può continuare a ignorare una realtà, quale quella dei precari sottopagati che muoiono di fame, dando risalto a chi, comunque, ha rispetto a loro un relativa fortuna?

Va chiarito che l’Associazione Stampa Romana si occupa parecchio di precari, con misure in loro sostegno. Ma quando si tratta di usare la forma più estrema di protesta, appunto lo sciopero generale, ecco questa non è chiesta per loro, ma per i dipendenti.

Gli stessi giornalisti che hanno manifestato solidarietà ai colleghi trasferiti non hanno mai fatto comunicati di solidarietà verso i propri collaboratori, o quelli di altri giornali, cacciati nel silenzio generale, oppure contro i compensi drasticamente tagliati, sempre nel silenzio generale. Mai nessuno si è espresso in loro favore, a favore delle condizioni a dir poco tragiche nelle quali vivono.

La verità è che anche il diritto allo sciopero è riservato solo ai dipendenti. E quindi, come tale, pure la solidarietà è riservata a chi sciopera, cioè i dipendenti. Le regole nel mondo dei dipendenti sono chiare, gli strumenti anche.

Nel sottobosco dell’illegalità nel quale vivono decine di migliaia di giornalisti, pagati pochi euro l’ora nonostante i proclami a favore del salario minimo dei loro stessi giornali, non ci sono regole, quindi non ci sono diritti.

E’ un limbo viscido e ambiguo, dove tutto e niente è possibile. Un limbo sopratutto invisibile, ovviamente agli occhi di chi non lo vuol vedere, che siano gli editori o i colleghi interni. Che in questo modo però passano da essere vittima a casta anch’essi, perché tutto è relativo. Puoi essere vittima di un editore ma comportarti come lui nei confronti di un tuo collega senza contratto. Al quale appunto nessun cdr mostra solidarietà.

Davvero, quando uscirà un comunicato di un comitato di redazione che dice “Solidarietà a X, che guadagna 40 euro a pezzo, e ha tre figli e non riesce ad arrivare a fine mese”, mi commuoverò. Ma non accadrà. O se sì, probabilmente sarò già morta.

La Cronista Furiosa

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