Il vizietto di Repubblica: in crescita falsi e interviste copiate

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Bergamo, 15 maggio 2020

Per diventare popolari e apparire dei mecenati in queste settimane basta veramente poco: è sufficiente promettere 600 euro a qualcuno e il gioco è fatto. Quel che conta è promettere, non importa a quali condizioni. Ecco quindi che qualcuno non ha accolto con favore la scelta di Senza Bavaglio di criticare l’istituzione del premio “il giornalista della settimana” a La Repubblica. Ma come, l’unico direttore d’Italia decide di instaurare una sana competizione per favorire la meritocrazia, e voi lo denigrate?

Certo che no, se tutti partecipassero in modo leale. In realtà i motivi per dubitarne non mancano, a cominciare dal fatto che dipendenti e collaboratori siano esattamente sullo stesso piano. Come è logico che accada ci sono quelli di serie A, e a scalare tutti gli altri. I primi ricevono regolarmente i loro compensi (e ci mancherebbe), ed è certo che non saranno toccati dalla politica di tagli imposti dall’alto. Gli altri, invece, saranno costretti a lottare per la sopravvivenza, visto che c’è chi da sei mesi sta aspettando il saldo delle fatture.

Non bisogna poi dimenticare che per avere quei 600 euro c’è sicuramente chi è disposto a qualche trucchetto. Accadeva prima, quando in premio c’era solo la gloria, perché non dovrebbe succedere domani? Il rischio che un giornalista non deontologicamente allineato prenda qualche scorciatoia sono più che concreto. Ci è cascato più di un collega, ma pare che dalle parti di via Cristoforo Colombo il vizietto si presenti con maggiore frequenza.

A rischio di cadere in tentazione sono soprattutto gli inviati speciali, liberi di muoversi nei cinque continenti, dai quali è lecito aspettarsi lo scoop. Nel mondo reale l’immagine generale di queste figure ha perso un po’ di lucentezza. Certo, c’è sempre chi non si risparmia per inseguire l’informazione che fa la differenza, tuttavia pochi fanno una vita da agenti segreti. Qualcuno, soprattutto in zone di guerra, preferisce rimanere al sicuro in albergo e attendere che le informazioni arrivino a domicilio; ne sanno qualcosa i militari italiani impegnati nelle varie operazioni di pace, dai Balcani alla Somalia.

Se a lungo si è discusso che la celebre immagine del miliziano colpito, scattata da Robert Capa nel 1936, fosse un falso (un fake come si preferisce dire oggi), significa che il pericolo è latente. E tornando a Repubblica, nell’ultimo mese almeno due interviste sono state presentate come esclusive, mentre la realtà è ben diversa. Il primo caso risale al 18 aprile, quando nella sezione esteri compare un servizio firmato da Daniele Mastrogiacomo sui “drappi rossi” di Bogotà, la singolare e silenziosa protesta dei colombiani che stanno morendo più di fame che per gli effetti del virus.

Un testo contenente riferimenti precisi e virgolettati, che danno la sensazione sia vissuto in prima persona. Peccato che quelle indicazioni e quelle parole siano tradotte da un servizio pubblicato poche ore prima sul quotidiano El Pais, scritto da Catalina Oquendo, che ovviamente ha chiesto la rimozione immediata dell’articolo. Ora quella pagina è stata profondamente rimaneggiata, ma le prove di quello che la Oquendo ha giustamente definito un plagio sono presenti sotto forma di screenshot sul blog attivissimo.blogspot.com, che per primo e prontamente ha segnalato l’accaduto.

Il secondo esempio, più clamoroso e recente, porta la data dell’11 maggio sul web ed è stato naturalmente ripreso in prima il giorno seguente. “Il portavoce di Al Shabaab: I soldi del riscatto di Silvia per finanziare la jihad”, è il titolo del reportage nel quale Pietro Del Re riporta della conversazione esclusiva al telefono con Ali Dehere, il portavoce di Al Shabaab, il gruppo terroristico che ha gestito il rapimento di Silvia Romano. Ebbene, anche questo servizio (che probabilmente sarebbe rientrato nella rosa dei candidati al premio settimanale) è risultato essere un falso. La smentita è arrivata direttamente sul sito somalimemo.net

“Il funzionario che ha parlato con SomaliMeMo ha descritto la falsa dichiarazione di La Repubblica come una spinta delle politiche razziste in Italia che negli ultimi giorni hanno fatto attacchi verbali e minacce alla donna musulmana Aisha. Non è la prima volta che i media occidentali riportano false affermazioni di responsabilità da parte dei mujahideen di al-Shabaab, che hanno spesso mirato ai mujaheddin o ai loro interessi politici”. Che il riscatto possa servire per finanziare il terrorismo può essere facilmente intuibile, anche scontato, ma non deve autorizzare a inventarsi di sana pianta un’intervista.

Se anche i grandi alimentano il flusso di false notizie clamorose supportati dai risultati che questi proclami regalano (Repubblica online ha segnato un +56,7 di utenti unici a marzo rispetto a febbraio), non sarà possibile uscire dal vortice. Senza dimenticare che in questo caso il falso è aggravato dal fatto che l’articolo in questione è stato acquisito come prova dagli inquirenti che si occupano del caso di Silvia Romano. Adesso è chiaro perché non ci convince Pulitzer settimanale di Repubblica?

Valerio Boni
valeboni2302@gmail.com

pubblichiamo a seguire la replica di Daniele Mastrogiacomo

Caro Boni, leggo le tue considerazioni sul “vizietto di Repubblica” affidato alle colonne di Senzabagalio.info. Pur condividendo nell’insieme quello che sostieni ricordando pratiche che appartengono qualche volta a chi come noi fa questo mestiere, hai indicato come esempio anche una mia “intervista” sui drappi rossi di Bogotà. Non si trattava di intervista perché ovviamente non ero sul posto, come era facile evincere né il servizio aveva le pretese di farlo credere, ma la ripresa di un servizio, questo sì fatto sul posto realizzato dalla collega de El Pais, Catalina Oquendo. Non è mia prassi copiare lavori altrui. In questo caso ho trascritto, fedelmente, alcune frasi, due in particolari, che la collega aveva raccolto tra la gente che protestava in casa e dal sindaco del quartiere che le sosteneva. Non poteva essere altrimenti. Le avrei dovute inventare. La notizia mi sembrava talmente rilevante da proporla al giornale. Ho fatto solo un errore, del tutto involontario: non ho citato la collega e la fonte. Era la prima volta. Di questo me ne sono doluto con la tessa Oquendo alla quale, nello scambio di messaggi che abbiamo avuto, ho spiegato che non avevo assolutamente voluto appropriarmi di un testo che non era mio ma solo far sapere anche ai lettori italiani ciò che accadeva in un paese che frequento da anni ma in cui non ero presente in questo momento. Ho fatto notare alla stessa collega che non si trattava di plagio dal momento che attacco, chiusura e interi passaggi riportavano la mia prosa e non quella del suo servizio e ho subito provveduto, come era normale fare, ad aggiungere il suo nome, quello della testata e ricordando che aveva avuto la forza e il coraggio di uscire di casa assume al fotografo per coprire un servizio sebbene ci fosse il lockdown a Bogotà. Parlare di plagio e di “intervista” di “visto in prima persona”, di “pagina profondamente rimaneggiata” è improprio, anche perché ignori tutto ciò che è accaduto prima, durante e dopo la pubblicazione del servizio “incriminato”. E questo forse avresti potuto chiederlo a me, piuttosto che affidati solo a attivisimo.blogspot.com. A tutti può accadere di commettere una leggerezza, del tutto involontaria e non furbesca: l’importante è ammetterla, porre rimedio, ed evitare di farne altre in futuro. Accostare questo incidente ad una pratica che denunci come prassi incombente dopo il premio annunciato nell’ordine di servizio del direttore, è fuorviante e questo sì strumentale, come la campagna via web nei mei confronti messa in quelle ore dai soliti Leoni da tastiera. Ho fatto le mie scuse alla collega del Pais, ci siamo chiariti pur restando ognuno sulle proprie posizioni. Quanto agli inviati di guerra che amano stare in albergo facendo credere di essere sul campo è una peculiarità che non mi appartiene. L’ho fatto per 13 anni, basta conoscere la mai storia professionale e umana.

Un saluto
Daniele Mastrogiacomo

 

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