Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Milano, 3 aprile 2019
Se invece di essere semplicemente informati che il ricorso presentato da FNSI e Alg per il modo in cui è stato gestito il trasferimento della redazione di Panorama si era chiuso con “una sconfitta su tutta la linea”, i giornalisti Mondadori avessero potuto leggere il testo della sentenza, la votazione dell’assemblea sull’ennesimo contratto di solidarietà, l’esito avrebbe potuto essere diverso. Il condizionale, naturalmente, è d’obbligo se si considera quello che sembra essere lo spirito con il quale i colleghi hanno accettato i nuovi 12 mesi di stato di crisi con 128 voti a favore, e 11 tra astenuti e contrari. La relativa euforia del Cdr di avere ottenuto la riduzione degli esuberi dagli oltre 30 inizialmente identificata ai 24 inseriti nell’accordo ha spinto molti ad accettare la nuova imposizione ancora una volta come il minore dei mali. «In fondo abbiamo un altro anno di stipendio assicurato, anche se 3 giorni al mese saranno pagati una miseria. Ma c’è vantaggio che in questo modo staremo 36 giorni in più fuori da un’azienda dove l’aria è sempre più pesante. E questo, di fatto è come raddoppiare le ferie». Questo è, in linea di massima, il pensiero comune di chi oggi lavora all’interno delle redazioni superstiti della rottamazione in atto, e non certo conclusa.
Stati di crisi per fare cassa
Il convincimento potrebbe essere legittimo se si avesse a che fare con gentiluomini, costretti a ricorrere allo stato di crisi con l’obiettivo di salvaguardare il posto di lavoro ai dipendenti in un momento difficile. Tuttavia non è certo questo il sentimento che spinge persone (qualcuno preferisce definirli farabutti) senza scrupoli a usare gli ammortizzatori sociali con l’obiettivo di sfruttare ogni centesimo recuperabile a proprio favore, senza investire in nuovi progetti e cercando di sanare in qualche modo gli effetti disastrosi delle scelte di manager che restano al loro posto nonostante i danni che hanno causato.
Una sentenza agghiacciante
Alcuni passaggi della sentenza sono agghiaccianti, a preoccupare non è la mancata accettazione da parte del giudice di quanto denunciato, sono le motivazioni. Le 19 pagine del documento sono farcite di dichiarazioni che smontano ogni tesi prodotta dal sindacato, in un crescendo che arriva a dipingere la Arnoldo Mondadori Editore Spa come un mecenate ingiustamente accusato da personale irriconoscente. Innanzitutto il giudice respinge l’accusa di antisindacalità per il semplice motivo di avere minacciato il licenziamento dei giornalisti in caso di naufragio dell’accordo per il trasferimento. “Deve escludersi che, a fronte delle pacifiche perdite accumulate dalla rivista Panorama, la prospettazione della possibilità di intimare i licenziamenti dei giornalisti addetti alla testata, integri di per sé condotta antisindacale. Infatti, la chiusura della testata, con ogni conseguenza sui rapporti di lavoro in essere, non può che astrattamente rientrare nell’ambito di una di quelle possibili valutazioni che l’imprenditore, anche nella veste di datore di lavoro, può decidere di assumere, con ogni ripercussione che ne deriva a cascata. Deve quindi ritenersi che non ricorre nel caso di specie una ipotesi di “minaccia”, che possa avere determinato una qualche antisindacalità nella condotta del datore di lavoro”. Ciò significa che non solo la minaccia, ma anche l’eventuale successivo licenziamento, possono essere applicati senza temere alcun tipo di sanzione.
La corte dei miracoli
Può anche essere comprensibile, in caso di difficoltà oggettive, non per effetto di manipolazioni. Perché se Panorama era in perdita, un ruolo importante nel dissesto di quella che un tempo era la bandiera di Mondadori è di quella corte dei miracoli che si era venuta a creare con il parcheggio di collaboratori con compensi da manager che ogni direttore che è transitato dalla redazione ha lasciato in eredità. Ai quali si sono negli anni aggiunti vicedirettori in pensione.
Più abusivi veri, che esuberi virtuali
Quello che probabilmente chi ha votato a favore all’assemblea non ha tenuto in considerazione è che con l’approvazione dello stato di crisi è stata di fatto sottoscritta la presenza in azienda di 24 esuberi. Non importa se ci sono ben più di una trentina di collaboratori che quotidianamente presidiano, senza averne titolo, scrivanie e computer nelle varie redazioni. E che altri possano tranquillamente lavorare e seguire la cucina fino alla chiusura di un numero collegati in remoto da casa. Perché ancora oggi si parla del problema degli abusivi senza che sia mai stata dimostrata la minima volontà di trovare una vera soluzione, se non girare la testa dall’altra parte e reggere addirittura il gioco dell’azienda in occasione delle ispezioni farsa dell’Inpgi.
Dopo le elezioni si aspetta l’offensiva
L’impressione è che i giornalisti Mondadori abbiano perso un’occasione per ottenere qualcosa, forse l’ultima. Perché la sentenza apre la strada anche ad altri editori che fino a oggi erano stati più timidi in operazioni di rottamazione e potranno prossimamente agire con maggiore determinazione. Anche se è prevedibile che la prossima mossa partirà ancora una volta da Segrate, non subito poiché le prossime elezioni europee in avvicinamento consigliano prudenza, ma dopo il 26 maggio è lecito aspettarsi una nuova mossa. Non sarà certo un contratto di solidarietà in vigore a impedirlo, e la conferma arriva dal recente passato, con scenari futuri ancora tutti da scoprire visto che anche in questo campo non c’è limite alla creatività.
Valerio Boni
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