I gessetti di Sylos Labini
Giovanni La Torre
Roma, 12 gennaio 2017
Era da aspettarsi che tra i primi a prendere posizione contro la richiesta del Tg7, del presidente dell’Abi Patuelli e di altri di rendere pubblici i nominativi dei maggiori debitori inadempienti ci fosse La Repubblica, dato che il suo proprietario è stato indicato da alcuni giornali come tra quelli che hanno fatto il gesto dell’ombrello al Mps, dopo aver preso in prestito un sacco di soldi (la Sorgenia della famiglia De Benedetti, circa 600 milioni di euro, Ndr).
Una volta che lo stesso presidente dell’Autorità sulla privacy, Soro, ha detto che per le aziende e le società nulla osta alla pubblicazione, ecco che viene tirato fuori la questione del “segreto bancario”.
Lo fa in un articolo sul quotidiano romano dell’11 gennaio Roberto Petrini. La bocciatura della proposta di Patuelli viene giustificata con il fatto che violerebbe appunto il segreto bancario. Inoltre, si aggiunge, una volta pubblicata la lista bisognerebbe anche indicare il motivo dell’insolvenza, che possono essere tanti, non tutti truffaldini, altrimenti il tutto si limiterebbe alla “gogna mediatica”, e distrarrebbe l’attenzione dai veri responsabili dei dissesti bancari. Le banche poi, rischierebbero la denuncia per diffamazione e addirittura metterebbero a repentaglio la loro stessa stabilità perché la notizia dell’insolvenza verrebbe a conoscenza delle altre banche, le quali revocherebbero a quel punto anche loro i fidi e quindi renderebbero ancora più complicato il recupero. Non manca il richiamo, usuale in Italia dall’avvento del Berlusconismo, che il nostro è uno stato di diritto (rectius “dei dritti”) e che quindi per punire certi comportamenti ci pensa la legge (rectius: mai! Per la prescrizione).
Ora, fossi Petrini, sarei meno categorico nelle affermazioni e meno allarmista.
Forse la gente non sa che si discute da sempre se esista, e quale sia, la fonte normativa del segreto bancario, in quanto non c’è alcuna norma di legge che lo preveda esplicitamente e che stabilisca le sanzioni in caso di infrazione (come è per esempio per il segreto professionale dei professionisti). La cosa è talmente ignota che la Cassazione una volta, per decidere su un caso concreto, dovette ammettere che la vera fonte di quel segreto sarebbe semplicemente la “consuetudine”, degna di tutela per gli effetti che ha sullo sviluppo dell’attività economica (ma in caso di prestiti non restituiti ci sarebbe questo interesse generale?). Non essendoci una legge che istituisca il reato di “violazione del segreto bancario”, la questione sollevata riguarderebbe solo l’ambito civilistico e precisamente quello del “risarcimento del danno”. Danno che però deve essere dimostrato dal presunto danneggiato sia nell’an che nel quantum, tanto per usare dei termini cari agli avvocati. Dimostrazione questa che pare alquanto difficoltosa per una società che è già in cattive acque, al punto da essere classificata tra i crediti deteriorati o addirittura a sofferenza dalla propria banca (per esempio dubitiamo che possano pretenderlo i nomi già pubblicati dalla stampa nazionale, dato che se “danno” ci fosse sarebbe già stato ampiamente consumato, visto che la notizia è già di pubblico dominio e non smentita).
L’obbligo al segreto, meramente consuetudinario, andrebbe quindi messo a confronto con il diritto/dovere alla trasparenza, soprattutto quando la collettività interviene finanziariamente, e vedere quale pesa di più.
Bisogna poi chiedersi se quell’obbligo non derivi solo dal contratto (che è una delle tesi avanzate dalla dottrina), e quindi riguardi solo i rapporti in essere e non quelli in default. Per questi ultimi detto segreto, tra l’altro, viene già violato ripetutamente con le comunicazioni alla “centrale rischi”, alle società di recupero crediti e ai suoi recuperatori, agli studi legali delle banche incaricati delle azioni giudiziarie, ai clienti “buoni” della banca quando devono fare un grossa fornitura a credito a un altro cliente della banca, ecc.
Il fatto che si fornirebbero notizie alle altre banche concorrenti è addirittura risibile, perché tutti i soggetti vigilati hanno accesso alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia e quindi sono già informati in tempo reale sulle classificazioni dei crediti da parte di tutto il sistema bancario e finanziario. Come pure appare risibile il rischio di denuncia per diffamazione in quanto ci si limiterebbe a rendere pubblici dei dati di fatto, senza apprezzamenti qualitativi.
L’elenco dei maggiori crediti in sofferenza avrebbe proprio lo scopo di verificare l’attività dei responsabili della banca, perché si potrà verificare come venivano erogati i prestiti.
Infine, sul fatto che ci debba pensare la legge, ho già risposto sopra. In più va detto che finché non c’è una notizia di reato nessun giudice può intervenire. Questa notizia potrebbe venire proprio da quella pubblicazione.
Indubbiamente, potrebbe verificarsi che solo per ripicca molti soggetti intraprendano comunque azioni di risarcimento danno, con conseguenti costi legali per la banca, questo anche perché purtroppo in Italia la “lite temeraria” è sanzionata in maniera molto blanda, ma visto i soldi che hanno buttato via finora mi sembrerebbe il danno minore (certo se hai come avvocato Previti e capiti con il giudice “giusto” puoi vincere qualsiasi causa). Ad ogni buon conto speriamo che venga varata subito la “Commissione d’Inchiesta”, così l’elenco sarà richiesto da un’entità cui non può essere opposto alcun “segreto” (sempre che prima non sia stato già snocciolato dai giornali).
Giovanni La Torre
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