A strettissimo giro sono giunte diverse risposte al mio precedente gessetto. Francamente ne sono rimasto sorpreso, in positivo, ovviamente. Le risposte possono essere raggruppate in due tipi: quelle che mi fanno presente che solo lo Stato è in grado di salvare le banche, che così è stato fatto all’estero e, velatamente, mi accusano di voler far fallire le banche con grave pregiudizio per tutto il sistema economico; e quelle che mi chiedono come poter coinvolgere le banche nel rischio, in particolare come poter rendere azionista lo stato se dovesse essere chiamato a pagare.
A) Al primo gruppo rispondo:
1) chi mi accusa di voler far fallire le banche mi confonde con i miei “avversari” dialettici, i quali avendo sostenuto che la colpa della crisi globale era da addebitarsi alla finanza, tutti gli intermediari coinvolti dovevano essere puniti con il fallimento. Oggi chi sosteneva quella posizione ha un pò sfumato l’argomentazione e comincia ad avvicinarsi a quella che è sempre stata, fin dall’inizio, la mia posizione e cioè che l’origine della crisi vada rintracciata nell’economia reale e che la finanza ha solo svolto il ruolo del “ricettatore”. Detto ciò, certo che le banche vanno salvate, anche questo l’ho detto in tutte le occasioni. Più precisamente vanno salvate interamente le “aziende bancarie”, mentre per gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati va fatto un discorso caso per caso, in relazione anche all’entità della perdita patrimoniale, per rispettare il principio del rischio d’impresa e ripudiare quello “degli utili privati e delle perdite pubbliche”, perché altrimenti è meglio nazionalizzare tutte le banche e il problema si risolve automaticamente;
2) per quanto riguarda l’estero non mi risulta che gli aiuti si siano trasformati in “regali”, come sarebbe invece nel caso la garanzia dello Stato venisse escussa e lo Stato medesimo non avrebbe nessuno su cui rivalersi. Inoltre nessuno ci ha impedito di fare all’epoca gli stessi salvataggi fatti altrove, come pure nessuno ci ha imposto dall’estero governanti incapaci e venditori di fumo come Berlusconi e Tremonti, i quali dicevano che noi stavamo “meglio della Germania” e che le nostre banche erano le “più solide al mondo”;
3) la questione della bad bank non riguarda però il “salvataggio” dal fallimento, almeno non viene così posta. Si tratta di una ripulitura dei bilanci per aggiustare i ratios di vigilanza. Anche la Bce ha in questi giorni precisato, dopo i crolli di borsa, che non vi sono rischi di fallimento per le banche italiane. Qualora invece fosse quella la vera posta in gioco, tutto il discorso cambierebbe e le proposte da fare sarebbero altre, non esclusa la nazionalizzazione. Ma non era questo l’oggetto del mio “gessetto”, quando sarà (speriamo mai) il momento me ne occuperò.
B) Al secondo gruppo rispondo preliminarmente che con tutti i consulenti giuridici che il governo ha a libro paga (abbiamo appreso che ci sono anche magistrati in attività) non dovrebbero mancare le idee e gli eventuali nuovi strumenti legislativi necessari, ad ogni buon conto quelle che vengono a me di primo acchito sono:
1) far intervenire le banche come “terzi datori di fideiussione” a favore dello Stato (il garantito sarebbe il “veicolo”, nei cui confronti lo stato rinuncia di diritto o di fatto alla “rivalsa”), e se mai girare a loro tutto o parte della commissione incassata dallo stato medesimo (l’1% di cui si è detto). La causa di questo atto, che comunque rientrerebbe in pieno nell’oggetto sociale delle banche, andrebbe rinvenuta anche nella circostanza che tutta l’operazione viene compiuta nell’interesse delle banche medesime;
2) far deliberare dalle assemblee dei soci delle singole banche, che qualora dovesse sorgere un debito verso lo stato per l’azione di rivalsa di questo, quel debito può essere trasformato in capitale (la forma la troveranno gli avvocati, anche con un provvedimento legislativo ad hoc, ma potrebbe essere un aumento di capitale riservato, con rinuncia al diritto di opzione da parte degli attuali azionisti).
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