Scusate, ma … cosa intendiamo quando diciamo “banche”?

Sono rimasto un po’ interdetto quando ho letto le dichiarazioni di Grillo e Salvini contro l’Europa che non consente di rimborsare con soldi pubblici gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati delle banche indefault. Addirittura il comico avrebbe pubblicato sul suo sito l’elenco dei parlamentari europei italiani che hanno votato quelle norme.

In particolare mi sono chiesto cosa intendessero costoro, ed altri che oggi invocano gli stessi provvedimenti, quando all’indomani dello scoppio della crisi del 2007 andavano urlando che “le banche devono fallire”? Se i depositanti vanno salvati, gli obbligazionisti subordinati vanno salvati, gli azionisti vanno salvati, allora chi deve fallire? Non c’è rimasto più nessuno.

Forse si riferiscono al management? Agli esponenti: amministratori, sindaci, direzione? Ma costoro non possono fallire, contro di essi il codice civile prevede la possibilità di avviare la cosiddetta “azione di responsabilità”, la quale è semplicemente una causa di tipo civile che può essere avviata dai nuovi vertici, al termine della quale si può chiedere un risarcimento danni. Trattasi però, va detto subito, di cause difficilissime perché la lotta è di uno contro dieci/quindici persone le quali sono subdolamente tra loro coalizzate per far durare la causa decenni (uno si dà ammalato in un’udienza, uno in un’altra, uno accusa Tizio, Tizio accusa Caio, Caio accusa Sempronio, Sempronio accusa quello che era partito con lo scarica barile, insomma alla fine diventa difficilissimo raccapezzarsi e giungere al giudizio di condanna). Ma anche se si riuscisse a pervenire alla condanna, le persone coinvolte risultano sempre nullatenenti o quasi, e comunque proprietari di un patrimonio infinitesimale rispetto al danno provocato. Siccome è stata abrogata la schiavitù per debiti, vigente nell’antichità, alla fine ci hanno guadagnato solo gli avvocati e chi ha avviato la causa ci ha solo rimesso.

Forse ci sarebbe un’altra categoria di persone contro cui “scagliarsi”, ma solo a titolo di soddisfazione morale: i grandi debitori della banca la cui insolvenza ha provocato il default. Alberto Statera su Repubblica di oggi 11 dicembre ne ha indicato i principali. Gli obbligazionisti subordinati possono andare anche sotto le finestre di costoro ma, ripeto, solo per una soddisfazione morale.

Tornando al discorso di partenza, sembra che per certa gente le “banche” siano delle entità astratte che comunque però devono pagare il maltolto. Ma chi debba pagare realmente non si riesce a capire. Il cosiddetto decreto “salva banche” in realtà non ha salvato le banche ma, come è giusto che fosse, le “aziende bancarie”, cioè il complesso di attivo e passivo che costituiscono il corpo centrale delle banche. All’attivo ci sono tutti i finanziamenti (crediti) ritenuti esigibili, che le banche hanno fatto alle imprese e ai privati e che saranno rimborsati nel tempo, i quali in alternativa avrebbero dovuto essere richiamati e rimborsati, con danni gravi alle imprese e alle famiglie. Al passivo ci sono i debiti verso i depositanti, i quali in assenza del salvataggio avrebbero dovuto essere decurtati delle perdite accumulate e di quelle previste. Il passo successivo avrebbe voluto dire salvare anche chi ha condiviso il rischio d’impresa. Ma allora non paga mai nessuno in Italia. Allora non si capisce perché lo stesso salvataggio non avrebbe dovuto comprendere anche gli obbligazionisti Parmalat e Cirio, o i sottoscrittori dei bond argentini, o gli azionisti di una qualsiasi società fallita.

Mi sembra che ci troviamo in presenza del classico populismo alla Tremonti, che dava ragione a tutti senza rendersi conto delle contraddizioni in cui incorreva.

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