I luoghi comuni (e l’ignoranza) di Panebianco

Il professor Panebianco sul Corriere della Sera ha avviato un processo di mistificazione della storia recente dell’Italia tesa, in ultima analisi, a sostenere Renzi nel suo tentativo reazionario di portare l’Italia dalla parte della società più retrograda e immobilista.

A luglio ha pubblicato un articolo in cui se la prende con i nostalgici del comunismo, direi giustamente. Ad agosto ne pubblica un altro in cui, partendo dalla Camusso, attacca la sinistra più in generale, facendo passare il messaggio subliminale, con questo uno-due, che la sinistra tutta è quella nostalgica dell’Urss. La sinistra è bollata come il raggruppamento politico del “tassi e spendi”, che ha paura del dinamismo sociale, del cambiamento e dell’innovazione, che “ha fatto proprio l’ideale di una società statica … [e] pensa sia alla ricchezza che al lavoro come a giochi a somma zero: si deve togliere più soldi all’uno (il più ricco) per darli all’altro (il più povero)”.

Chissà dove avrà maturato queste convinzioni il prof., forse in qualche circolo “forza Silvio”, dove si diceva che quelli di sinistra “invidiano i ricchi”, o sui libri insulsi di Tremonti, dal prof. considerato un “intellettuale di spessore”.

Panebianco incalza ancora “È questa mentalità [della sinistra] che alimenta l’ideale di una società composta prevalentemente da impiegati pubblici, e nella quale il mercato sia tenuto a bada, al suo posto, in condizioni di non nuocere, di non dare libero sfogo ai suoi impulsi più ‘eversivi’ e aggressivi: poiché è proprio del mercato di essere la principale fonte dell’innovazione e del dinamismo sociale.

Esattamente ciò che da sempre la sinistra esorcizza bollandolo come ‘liberismo selvaggio’.”

Caro prof. Panebianco, “l’ideale di una società composta prevalentemente da impiegati pubblici” è stato coltivato e perseguito dalla destra democristiana alla Andreotti, Fanfani, Forlani e compagnia cantante, la sinistra non c’entra nulla. L’occupazione dello Stato da parte del partito (e poi dei patiti) e, soprattutto, delle allora Partecipazioni Statali, è stata un’operazione portata avanti dalla Dc di Fanfani, non dalla sinistra. Che il mercato in Italia abbia smesso di essere fonte di innovazione e cambiamento sociale lo si deve innanzi tutto agli imprenditori, i quali, a partire dalla fine degli anni sessanta, si sono sempre accucciati sotto il desco del potente di turno in attesa di qualche elargizione, anziché intraprendere un’azione di contrasto al degrado e alla corruzione. Le leggi che negli anni novanta hanno reso precario e flessibile il mercato del lavoro, anziché essere sfruttate per procedere alle ristrutturazioni richieste dalla globalizzazione (come fatto in Germania), sono state utilizzate dalle imprese per galleggiare in settori vecchi, in concorrenza con la Cina. E ora l’ulteriore precarizzazione viene richiesta e concessa da Renzi, come si concede altra droga a un malato grave.

Bontà sua, Panebianco ammette che “C’è in Italia, da sempre, anche una destra antimercato e corporativa che ha ugualmente paura del dinamismo sociale: a differenza della sinistra, tuttavia, questa destra, per lo più, non ha fatto delle tasse alte una bandiera identitaria”. Caro prof., ma lo sa perché questa destra “non ha fatto delle tasse una bandiera identitaria”, perché ha preso il vessillo del debito pubblico, ecco perché. E qui emerge l’ignoranza di Panebianco e di tutti coloro che hanno nostalgia della Prima Repubblica, anche dell’ultima fase. Tutti costoro non sanno che la crisi della finanza pubblica italiana trova la sua causa non dal lato delle uscite (troppa spesa), ma da quello delle entrate. L’Italia negli anni settanta aveva le stesse spese delle altre nazioni europee, ma entrate fiscali di gran lunga inferiori, proprio per non aumentare le tasse ai ceti che sostenevano la Dc e anzi consentire a commercianti e professionisti di evadere allegramente quelle poche che c’erano. Lo sfascio della finanza pubblica italiana è opera della destra Dc, come sopra identificata. Visto che Panebianco è un professore, forse è il caso che si vada a leggere le ricerche serie fatte sul’argomento, perché cominciamo a preoccuparci della formazione dei suoi studenti.

Quella politica dissennata fu tollerata nel mondo perché c’era la Guerra Fredda e noi eravamo al confine dei due blocchi, ma dopo la caduta del Muro non è stata più tollerata e i mercati hanno cominciato a punirci … e chi è venuto dopo ha dovuto rimediare. Il governo Prodi del ‘96, di sinistra, è stato il primo governo che ha avviato seriamente il risanamento, ma quelli come il prof. Panebianco lo indicavano come il governo delle tasse e disegnavano il ministro Visco come un vampiro, e quel risanamento fu interrotto, e oggi la medicina è ancora più dolorosa perché ci siamo affidati poi a venditori di fumo come Berlusconi e Tremonti, osannati sempre dai vari Panebianco.

Se poi vogliamo allargare il discorso, caro prof., dobbiamo dire che la destra liberista ci ha dato le peggiori crisi del capitalismo, quella del ’29 e quella dello ’07, mentre i governi con idee di sinistra alla Roosevelt, Keynes e Beveridge, ci hanno dato il “periodo d’oro” 1945 – 1975.

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