In più occasioni chi scrive ha sostenuto che il programma di Renzi non fosse tutto condivisibile, ma che lo stesso dovevamo auspicare la riuscita del nuovo leader, perché non si può vivere all’infinito con un’instabilità cronica in momenti così difficili, che possono degenerare in qualsiasi momento. E poi il punto di partenza era quello giusto: l’estromissione di tutta la vecchia e decrepita classe dirigente del suo partito.
Purtroppo però il comportamento di Renzi rende sempre più difficile mantenere questo atteggiamento. La questione che vorrei portare a esempio è quella del Jobs Act. Questo provvedimento, così come era stato esposto all’inizio, era un giusto punto di equilibrio e rifletteva le proposte sul tema fatte dagli economisti più seri ed equilibrati (Boeri per tutti). Si trattava in pratica di allungare il periodo di prova, per i contratti a tempo indeterminato, fino a tre anni, nel corso del quale le tutele erano ridotte al minimo, il licenziamento possibile anche senza giusta causa, solo che aumentava l’indennità di licenziamento in funzione del periodo trascorso in azienda.
Tre anni è un periodo più che sufficiente per capire se un neo assunto risponde ai requisiti richiesti dal datore di lavoro oppure no; pertanto trascorso quel termine a quel lavoratore devono essere riconosciute tutte le tutele, ivi compreso l’art. 18. Questo era il progetto originario, o almeno così fu fatto intendere. E così si è sempre intesa l’espressione ” … a tutele progressive”.
La prima smentita a questa impostazione l’abbiamo avuta con il decreto sul lavoro a tempo determinato, nel quale si è previsto che non venga specificata alcuna causa per questo tipo di contratto e i rinnovi possono arrivare fino a cinque, a brevissima distanza uno dall’altro, all’interno del periodo massimo previsto di tre anni. Cioè ogni datore di lavoro può fare contratti di qualche mese e ogni volta tenere il dipendente sulla corda del rischio di licenziamento, salvo poi poterlo di nuovo assumere senza alcun riconoscimento aggiuntivo, neanche economico, e questo per tre anni. Quindi smentita totale delle tutele crescenti, anche solo economiche.
La smentita più grossa, però, l’abbiamo avuta in questi giorni, con una nuova interpretazione diffusa del Jobs Act e del concetto delle tutele progressive per i contratti a tempo indeterminato. La progressività delle tutele riguarderebbe solamente la misura dell’indennità di licenziamento, ma niente art. 18 neanche dopo i tre anni. Si potrebbe dire: Renzi ha gettato la maschera, si è finalmente qualificato come uomo di destra. Ma la questione penso sia ancora più grave.
Finora si sono fatti paragoni con Berlusconi per l’importanza che il fiorentino dà alla comunicazione accattivante. Ma ora sta emergendo un’altra somiglianza più grave e perniciosa: il parlare e promettere sulla base della convenienza del momento, senza un piano preciso, contando sul fatto che la maggioranza delle persone ha la memoria corta, o addirittura non capisce i termini reali delle questioni; siamo cioè al populismo vero e proprio. Sostenere a parole, come fa Renzi, che il suo obiettivo è di “aumentare i diritti a chi non li ha” e poi fare il contrario con le norme effettive, come è il caso del contratto a tempo determinato, è proprio nello stile del peggior Berlusconi.
Per Berlusconi il comportamento e le dichiarazioni erano dettate di volta in volta dall’esigenza di tutelare i propri interessi economici e la posizione perenne di imputato. Per Renzi la dettatura viene dall’obiettivo di restare al potere, punto e basta. E allora può dire tutto e la volta dopo il suo contrario, con un’indifferenza che disarma e allarma, perché di questo passo il soggetto può fare qualsiasi cosa e presentarla come necessaria e doverosa, anche se è il contrario di quello che aveva detto qualche settimana prima, con toni altrettanto necessari e doverosi. E sarebbero sempre gli altri che nell’un caso e nell’altro non comprenderebbero la giustezza delle sue idee.
Allora che facciamo? Molliamo Renzi? Ma questo potrebbe dire il ritorno di D’Alema, Veltroni e compagnia cantante. Una classe dirigente che, come abbiamo detto altre volte, nonostante fosse stata favorita da Mani Pulite, non è mai riuscita in vent’anni a vincere un’elezione (quando lo ha fatto è stato perché si è nascosta dietro Prodi e Ciampi) e che adesso si lamenta di aver perso anche il partito: una disfatta totale, un’inconsistenza addirittura imprevedibile.
Questa fine, tra l’altro, ci fa venire in mente quella della vecchia guardia dell’Urss. In Occidente pensavamo che il potere di questa fosse forte e fondato come una roccia, e invece è bastato un ex attore (Reagan), un prete (Wojtyla) e un elettricista (Walesa) per disintegrarlo come un castello di sabbia.
E noi elettori di sinistra cosa facciamo? Speriamo solo di arrivare a una decisione prima delle prossime elezioni.
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