Quando un gruppo con oltre mezzo miliardo di euro di debiti, che per il suo quinto anno consecutivo dichiara lo stato di crisi per accedere ai finanziamenti previsti per il prepensionamento e la messa in cassintegrazione dei suoi dipendenti (ammortizzatori sociali pagati con soldi pubblici, svariati milioni ogni anno, perché si piange miseria appunto); quando un gruppo, dopo aver mandato via negli ultimi 12 mesi quasi 800 persone, e aver chiuso 20 testate, si ritrova ancora con una perdita netta nei primi sei mesi dell’anno di 70 milioni (allegria!); quando un gruppo, il cui giornale di riferimento, il Corriere, registra un calo di diffusione del 4,6%, si prepara a far uscire con il ricorso ai prepensionamenti altre centinaia tra giornalisti, impiegati e tecnici: è semplicemente immorale liquidare il direttore del Corriere con una buonuscita di 2,5 milioni di euro.
Una somma pari a cinque annualità del suo stipendio, che il direttore riceverà con la sua uscita, il prossimo maggio, all’età di 62 anni. O se preferite: una somma pari a 50 annualità (cinquanta!) dello stipendio dell’ultimo dei redattori ordinari.
Ecco, potremmo chiamarla la “regola morale di Scott Jovane”, per fare il verso a quella più famosa di Adriano Olivetti: ai dirigenti in uscita da un gruppo “sull’orlo del fallimento” (come ricordò con eleganza il suo azionista di riferimento qualche tempo fa) si riconoscono 50 annualità calcolate sullo stipendio dell’ultimo dei suoi giornalisti.
Perché state sicuri che al prossimo giro sarà difficile impedire al top management del gruppo di distribuirsi un premio nello stesso ordine di grandezza: ci avevano già provato in primavera (sempre con 2,5 milioni: è una fissa), e proprio il direttore del Corriere (più tutte le redazioni, unite per una volta) l’avevano impedito. Benvenuta allora Rcs: dopo la Regione Sicilia, er Batman e il Trota, ricorderemo anche via Solferino per le spese folli di un’azienda che (a detta dello stesso management) stava affondando. Come il paese, del resto.
E il sindacato dov’è? Franco Siddi ha imposto un contratto facendosi portavoce delle aziende editoriali, che hanno sostenuto di essere alla canna del gas. Due sono le cose: o è stato ingannato (e quindi non è degno di rappresentare i giornalisti) oppure si è reso strumento di chi sosteneva cose inverosimili e di cui anche un ragazzino si sarebbe reso conto, ed è indegno lo stesso.
Ora i giornalisti sono in balia degli editori senza la difesa di un sindacato che ormai ha sbaraccato.
Senza Bavaglio
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