Qualche giorno fa tutti i giornali hanno riportato le dichiarazioni con cui il presidente della Bce, Mario Draghi, ha accompagnato l’esplicitazione del suo intendimento di adottare una politica monetaria espansiva, in particolare è stato precisato che nuovo denaro verrà concesso alle banche a condizione che vada a finanziare “imprese e famiglie”. Tutti i commentatori hanno riportato quelle dichiarazioni con soddisfazione, come se si trattasse della manovra che darà la svolta alla congiuntura europea. A nessuno è venuto in mente quanto loro stessi denunciarono, nello stesso modo pedissequo, pappagallesco e acritico, all’indomani dello scoppio della bolla dei sub prime, e cioè che l’indebitamento eccessivo delle famiglie era all’origine della crisi.
I neoliberisti, che detengono ancora saldamente il potere, e di cui Draghi è un esponente, sono pronti a replicare il modello fallimentare degli anni novanta, tanto poi se scoppia un’altra bolla ci pensa pantalone a chiudere i buchi.
Quale è stato quel modello? La contrazione dei salari e stipendi a partire dagli anni ottanta, a seguito della svolta neoliberista appunto, aveva determinato un’insufficienza potenziale della domanda da un lato, e un eccesso di risparmio dall’altro. Allora cosa si è fatto? Alle categorie meno abbienti, anziché dare redditi sufficienti per alimentare una domanda in linea con la capacità produttiva esistente, si sono dati finanziamenti con facilità (mutui sub prime, carte revolving, ecc.), in questo modo si è evitato che l’insufficienza della domanda si conclamasse e contemporaneamente si è dato impiego all’eccesso di risparmio. Cioè i soldi ai lavoratori dipendenti anziché darli sotto forma di redditi, come sarebbe stato loro diritto e razionale, sono stati dati accendendo debiti. Il gioco ha funzionato fino a quando quei debiti non sono giunti al momento del rimborso, lì è caduto l’asino, o meglio siamo caduti tutti noi, e l’insufficienza della domanda si è conclamata. La maggior parte dei commentatori e analisti ha visto solo la parte esteriore e finale del fenomeno, l’eccesso di finanza concretizzatasi nei finanziamenti alle famiglie, e non ha saputo guardare al di sotto di questo e quindi ha dato tutta la colpa alla finanza, che invece si è solo limitata a speculare sullo squilibrio esistente nell’economia reale.
Ebbene, ora pare che si voglia replicare lo stesso modello: dare capacità di acquisto alle famiglie, e ai precari che guadagnano si e no 800 euro al mese, concedendo loro nuovi prestiti, cioè fomentare una domanda asfittica attraverso i debiti. Come poi li rimborserebbero, Draghi e i suoi estimatori non lo dicono, tanto se poi scoppia un’altra bolla, come abbiamo detto, ci pensa lo stato a risanare. Caro Draghi, e se lei invitasse le imprese a dare più soldi ai loro dipendenti, e a porre dalla sua poltrona autorevole la questione del dumping salariale, che viene praticato in tutto il mondo e che sta uccidendo l’economia globale? Ah già, dimenticavo, lei precisa sempre che può occuparsi solo di moneta e di livello dei prezzi e non di economia reale.
Peccato però che questa regola lei la applichi a corrente alternata. Eh sì, perché quando andò negli Usa nel febbraio 2012 a dire che il “modello sociale europeo è morto”, quella regola non l’ha applicata, perché si dà il caso che il welfare fa parte dell’economia reale. Oppure qualche giorno fa ha affermato in un’intervista: “La bassa inflazione persiste. Se durerà troppo a lungo, il risanamento nei Paesi in crisi sarà più difficile. I salari in quelle Nazioni dovranno calare per migliorare la competitività”. Anche il livello dei salari fa parte dell’economia reale, perché allora si impiccia? Non potrebbero calare i profitti per esempio? Insomma lei si occupa di economia reale solo quando c’è da menar le mani contro i lavoratori dipendenti.
In un mio scritto di qualche tempo fa ho definito Draghi il “presidente del profitto”, oggi confermo questo giudizio. Draghi è un esponente del neo liberismo che ci ha portati alla crisi (non dimentichiamo che ha lavorato per Goldman Sachs proprio negli anni in cui la crisi è stata preparata) e continua a propagandare per l’economia reale le note ricette fallimentari. Le sue misure di politica monetaria, peraltro necessarie, su questo non discuto, sono servite finora solo a creare un floor ai corsi di borsa, a dare ossigeno alle banche e a consentire agli investitori stranieri di liberarsi dei titoli dei paesi in difficoltà (cedendoli alle banche di quei paesi, come è avvenuto per l’Italia), diminuendo così la pressione sui tassi, ma non sono servite affatto all’economia reale. Se non riprende seriamente quest’ultima, anche quegli effetti positivi della politica monetaria sarebbero a rischio.
Se Draghi la stessa solerzia e severità che usa contro i salariati e stipendiati, la usasse contro le imprese e gli stati che attuano una politica deflazionistica, forse qualcosa cambierebbe. Nelle dichiarazioni di Draghi non c’è mai uno straccio di analisi delle cause della crisi. Si sono lette in questi giorni sue dichiarazioni banali come questa: “La ripresa c’è da nove mesi, ma è ancora debole e distribuita in modo squilibrato. E’ vulnerabile. Rischiamo ancora qualche incidente nell’economia globale”. Mi sembra di riascoltare Tremonti, che su ogni argomento diceva una cosa e il suo contrario, in modo da poter dire, e far dire agli sciocchi suoi estimatori, “io l’avevo detto” qualsiasi cosa accadesse. E poi, perché non dice cosa bisogna fare per impedire l’ “incidente nell’economia globale”?
Cari amici, l’era reaganiana e anti new deal non è ancora tramontata, e la crisi non verrà superata fino a quando non ci libereremo delle persone che se ne sono fatti paladini.
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