Onore alla Fieg, viva la Fieg. Gli editori hanno vinto, su tutti i fronti e ribaltando una situazione che in un paese normale e del primo mondo gli avrebbe visti sconfitti, considerato che si trovavano soli contro ordine DEI GIORNALISTI, sindacato DEI GIORNALISTI, cassa di previdenza DEI GIORNALISTI e governo.
E allora che fare? Andare a manifestare contro di loro? No, per carità, gli editori non si sono mica comportati male. Certo sono scellerati, si stanno lentamente suicidando, sono convinti che la logica dei tagli dei costi sia quella vincente e che la disaffezione dei lettori e il crollo della pubblicità sia colpa di Internet, della crisi (di cui sono co-genitori), della malasorte e soprattutto dei giornalisti (di una parte sì, hanno ragione). Sicuramente non è colpa loro e della loro scelta di ridurre l’editoria a un contenitore vuoto, approssimativo e senz’anima.
Però, nonostante tutto, nella trattativa sull’equo compenso (e sul contratto) hanno solo fatto quello che dovevano fare. I colpevoli vanno cercati altrove, a partire dalla base, che non lotta, che è codarda, che se ne fotte e che ha votato Siddi, Rossi & Company. Un drappello di persone che rappresentano meno del 10% dei giornalisti e che non solo tratta in esclusiva, ma neppure si degna di rendere conto a nessuno.
I risultati si sono visti. La resa è stata totale, gli editori hanno proposto e il sindacato ha accettato senza battere ciglio e ringraziando. È per questo che ora non servono manifestazioni e striscioni, in passato se ne sono fatte moltissime e tutte inutili. Non una che abbia portato a un risultato concreto. Ora serve altro, serve che i giornalisti, yes-man esclusi ovviamente, si mettano insieme e facciano qualcosa di concreto.
La legge sull’equo compenso cita espressamente il primo comma dell’articolo 36 della costituzione che recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Ecco di dignitoso e libero non si vede nulla in quello che è stato prodotto con il pilatesco assenso del governo (che comunque per natura dovrebbe prendere delle decisioni, possibilmente sensate) e con la follia dell’Inpgi, che così sì, andrà in bancarotta.
L’unico cavaliere alla fine è stato il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Enzo Iacopino, con il quale ci siamo scontrati sulla consistenza dei compensi minimi (e in qualche altra circostanza), ma che riteniamo sia stato l’unico garante della categoria nella vicenda.
Ecco forse con lui, o attorno a lui, se fosse disponibile, potremmo fare qualcosa, perché è pur sempre vero che attraverso la difesa dei giornalisti si difende il giornalismo. E l’Ordine in questo caso sarebbe interlocutore di garanzia e autorevole, ma per rafforzarne il ruolo dovremmo svestire per un attimo i colori delle appartenenze di corrente e generazionali, e rivolgerci alla giustizia, perché da una qualche parte sull’asse Roma-Strasburgo dovrà pur esserci.
Fabio Gibellino
USGF-Unione sindacale giornalisti freelance
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