Ora vediamo i limiti di certe analisi quando si pongono in un’ottica più “macro”. Sul sito di “sbilanciamoci” ho avuto l’opportunità di leggere l’introduzione del libro “Il colpo di stato di banche e governi” del sociologo Luciano Gallino. Il prof. Gallino è un grande sociologo che il sottoscritto apprezza moltissimo quando si occupa di lavoro e di organizzazione industriale, un po’ meno quando si occupa di economia e ancora meno quando si occupa di finanza. In quella introduzione si possono leggere frasi del tipo “produzione di denaro fittizio”, “creazione di denaro dal nulla”. Incuriosito, sono passato in libreria e ho sfogliato quel libro, e a un certo punto la mia attenzione è stata attratta da questo passaggio di p. 99:
“Sebbene vada contro una credenza comune, e persino a quanto insegna ancor oggi all’università qualche economista, le banche non concedono affatto in prestito denaro a finanziarie e imprese prendendolo dalla massa dei depositi a vista e di risparmi a termine che hanno in bilancio. In massima parte lo creano di volta in volta nella misura che esse stesse decidono, SENZA TOGLIERE UN EURO DAL CONTO DI UN CLIENTE (maiuscolo mio). Le banche e le altre istituzioni finanziarie creano denaro dal nulla concedendo crediti, ovvero prestiti, in MISURA DECINE DI VOLTE SUPERIORE AI DEPOSITI (maiuscolo mio) che hanno in registro e del capitale che realmente possiedono”
Non vi nascondo che ho avuto la sensazione di leggere un libro di Tremonti, di notare la stessa ansia di “meravigliare” con affermazioni vacue.
Vediamo subito i dati riguardanti l’intero sistema bancario italiano e pubblicati dalla Banca d’Italia nel bollettino n. 1/2014, relativamente alle sole voci citate nel libro:
· Prestiti a residenti in Italia
· Depositi (1.595) + obbligazioni (530) euro/mld 2.
· Capitale e riserve
Ci chiediamo quali dati abbia consultato il professore per fare quelle affermazioni sul rapporto prestiti/depositi+obbligazioni (“risparmi a termine”) e prestiti/capitale.
Quello che colpisce, ma spero di sbagliarmi, è la visione precapitalistica della finanza, anzi primitiva. Si ha l’impressione che per il professore i depositi siano alimentati da versamenti dei risparmiatori fatti con mazzette di banconote, le quali vengono custodite dalla banca in qualche cassaforte, dalla quale vengono poi prelevate per concedere un prestito, il quale a sua volta si materializza mediante la consegna al mutuatario di parte di quelle stesse mazzette di banconote (“senza togliere un euro dal conto del cliente”, ma cosa devono togliere, professore?). Ho notato poi, nel libro, lamentele sul fatto che la stragrande parte della “moneta” è costituita dal credito e questo avrebbe esautorato il potere statale, unico legittimato a coniare moneta. Ma, caro professore, è sempre stato così. La “moneta” di cui si parla in macroeconomia è quella, non altra, le banconote e gli spiccioli sono piccolissima cosa. Peraltro anche le stesse banconote e le monete metalliche coprono transazioni che sono un multiplo della loro entità perché c’è la cosiddetta “velocità di circolazione”. Cosa vuol dire, poi, che si sarebbe sottratto un potere allo stato? Che per ripristinare la giusta situazione i crediti dovrebbero essere concessi da quest’ultimo? Come era nell’Urss? Sinceramente non si capisce.
In conclusione, si comprende perché certe critiche facciano a malapena il solletico alla finanza: partono da premesse inconsistenti o addirittura errate. La prossima volta cercheremo di chiarire come stanno le cose sulla questione sollevata dal professore.
12/2/14
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