Il prof. De Cecco è noto (almeno al sottoscritto) per la sua prosa allusiva, sfuggente, che in alcuni passi può apparire, a chi non lo conosce, addirittura ambigua. Questa sensazione è forse rafforzata dal ricorso frequente a riferimenti storici, che in ultima analisi conseguono il risultato di diluire la tesi fino e renderla a volte quasi indistinguibile all’interno della dissertazione. Questa analisi venne riportata dal sottoscritto nell’ultimo libro (La Comoda Menzogna – Il Dibattito sulla Crisi Globale) e il professore replicò (cordialmente) sostenendo che il “parlare implicito” in fondo è da preferire. E’ accaduto però che nell’inserto Economia e Finanza di Repubblica del 24 febbraio, il prof De Cecco abbia scritto un articolo dalla prosa diretta, inequivocabile, aggressiva, mirata, con diverse vittime lasciate sul campo: Renzi, Monti, Letta, Napolitano. L’argomento che ha provocato questa metamorfosi è stato quello del “lavoro” in Italia, e già questo costituisce una novità, in quanto il professore finora si era occupato, sullo stesso giornale, di economia internazionale.
De Cecco se la prende soprattutto con il famoso Jobs Act di Renzi, il quale sin dal nome farebbe intuire la volontà di introdurre prassi americane in un contesto, il nostro, poco adatto. E’ il plurale di “jobs” che preoccupa, perché vorrebbe dire che la preoccupazione della futura legge sarebbe quella di regolamentare i diversi tipi di lavoro e non di creare occasione per un aumento delle possibilità di lavoro. E qui forse il professore non si sarebbe documentato a dovere, perché “jobs” non sarebbe il plurale di “Job” bensì un acronimo (Jumpstart Our Business Startups). Ma a parte la questione terminologica, e lo stesso contenuto del progetto di legge, che non è totalmente da scartare (a parere di chi scrive), il prof. De Cecco coglie un dato fondamentale che condividiamo in pieno, e che nel nostro piccolo abbiamo espresso di frequente nei “gessetti”, e cioè che non è la riforma del mercato del lavoro che potrà creare nuovi posti di lavoro. Il livello dell’occupazione è questione che va risolta prima di tutto in ambito macroeconomico, con il livello della domanda aggregata, e quindi con gli strumenti, nell’ordine, della politica fiscale (e della perequazione distributiva, aggiungiamo noi) e della politica monetaria. Solo dopo che la domanda sia stata rilanciata si potrà porre il problema di regolamentare in maniera diversa il mercato del lavoro. Effettivamente se le imprese non sanno a chi vendere non assumeranno mai, qualunque fosse la regolamentazione del mercato del lavoro. E qui le prime frecciate ai governanti passati: Monti che con i suoi provvedimenti ha mortificato la domanda interna, e Letta che si è fatto ingabbiare con la vicenda dell’Imu resuscitando, complice Napolitano, Berlusconi. Ma poi c’è anche la grande questione della formazione scadente della nostra forza lavorativa, conseguenza della riduzione progressiva degli investimenti nella scuola, nell’università e nella ricerca.
Secondo De Cecco la situazione occupazionale in Italia è talmente seria che avrebbe potuto provocare fenomeni simili alle “primavere arabe”, se non ci fosse stato “l’ammortizzatore famiglia”. Ma non è detto che questa situazione di pace duri. Ce n’è anche per gli imprenditori, quando dice che molte aziende che erano decotte, si sono rivitalizzate quando sono passate in mani straniere. Tutti gli altri impegni programmatici di Renzi vengono bollati come “slogan”. Insomma un De Cecco che non avevamo mai letto o sentito così determinato e preciso.
Benvenuto, professore, nel club del parlar chiaro!
25/2/14
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