Dunque i giornalisti della Gazzetta dello Sport si sono finalmente accorti che per loro l’azienda ha pensato ad uno spazio nella sede di via Rizzoli (periferia nord di Milano, accanto le tangenziali), e non nella centralissima via Solferino, in quel palazzo del primo Novecento dove resteranno i colleghi del cosiddetto “mondo Corriere”.
A dire il vero sarebbe bastato leggere con attenzione l’intervista che il direttore finanziario di RCS, Riccardo Taranto, aveva rilasciato al Sole 24 Ore lo scorso 17 novembre, dopo che il consiglio di amministrazione del gruppo aveva deciso di svendere il complesso di 25mila metri quadri compreso tra via Solferino, via Balzan e via San Marco al fondo Blackstone per soli 120 milioni di euro. Una cifra ridicola se si pensa che solo i valori di ristrutturazione dell’immobile erano costati alla stessa Rcs circa 80 milioni di euro. Ma il mercato immobiliare è quello che è, e il gruppo editoriale ha bisogno di far cassa.
Nell’intervista che dicevamo, comunque,Taranto aveva precisato che il lato San Marco, che ospita la Gazzetta, era stato ripreso in affitto con un contratto di sei anni (invece dei nove pattuiti per i blocchi Solferino-Bauzan, al costo complessivo di 10 milioni l’anno), ma con possibilità di recedere già dopo il secondo anno. Già nel novembre scorso insomma, contrariamente alle dichiarazioni ufficiali, l’azienda pensava ad una disdetta anticipata con il contestuale trasloco di almeno parte delle redazioni dei Quotidiani in via Rizzoli.
Ora si è trovata una soluzione diversa. E la ragione è semplice: il grattacielo di via Rizzoli è mezzo vuoto. E costa un patrimonio.
Gli 800 esuberi annunciati dal nuovo management hanno infatti colpito soprattutto le aree ospitate nella periferia milanese: Periodici, Libri, Pubblicità, Corporate, Produzione, Facilities ecc.. Nei Periodici, ad esempio, solo negli ultimi 12 mesi sono state liquidate complessivamente 20 testate, col ricorso a cassa integrazione, prepensionamenti forzati e cessioni di rami d’azienda. Tagli che hanno coinvolto lo scorso agosto 98 giornalisti, cui se ne sono aggiunti ora (dopo la chiusura di tre testate dell’arredo, due dell’infanzia, più Il Mondo e Abitare) altri 50. Ma i numeri delle uscite di impiegati e poligrafici sono decisamente più alti.
Il problema è che anche se gli inquilini di via Rizzoli diminuiscono, al punto che una metà degli uffici è vuota, l’affitto che RCS deve versare alla proprietà, e cioè un fondo della famiglia del sultano dell’Oman (per il corpo principale con la torre), più due fondi Pirelli (per gli altri edifici) rimane lo stesso: cioè, grosso modo, una decina di milioni l’anno, e questo fino al 2031 quando scadrà il contratto di 24 anni sottoscritto nel 2007.
Come sia stato possibile farsi sfilare la storica sede della Rizzoli più le vecchie tipografie per un progetto di sviluppo immobiliare megalomane (90 mila metri quadri di superfici, spazi per 3 mila scrivanie) che si è presto rivelato un bidone per RCS, è una storia ancora tutta da scrivere. Anche perché i documenti di quelle transazioni si trovano tutti in Lussemburgo, dove è parcheggiata la Inimm Due Sarl, società paravento costituita a fine 2000 dalla banca d’affari Morgan Stanley (azionista al 55%) insieme a Marco Tronchetti Provera (attraverso Pirelli Re, col 25%) e alla stessa RCS, che all’epoca si chiamava HDP, e ricevette 16,2 milioni di euro oltre a una quota del 20%, in cambio di tutti gli immobili e terreni di via Rizzoli conferiti per l’operazione (che facevano capo alla controllata Iniziative Immobiliare Due).
Peccato che sei anni dopo solo il corpo principale più il grattacielo di 19 piani disegnato da Stefano Boeri sia stato venduto al sovrano dell’Oman per la cifra di 65 milioni di euro, mentre l’intera proprietà di via Rizzoli 4-8, compreso il lato di via Cazzaniga, sia stata valutata la bellezza di 290 milioni di euro. E cioè una somma quasi 18 volte superiore a quanto incassato da Rcs nel 2000, che nel frattempo aveva cominciato a versare agli altri soci del progetto (compreso l’azionista Tronchetti Provera) un canone d’affitto annuo dell’ordine dei 4-6 milioni in su.
Chi ci ha guadagnato allora? Difficile dirlo, perché tutte le transazioni sono avvenute estero-su-estero, schermate dietro società offshore come la The European Acquisition Company Sarl del sultano Qābūs bin Saʿīd. L’unica certezza è che da quando RCS è entrata in affari con Morgan Stanley e Tronchetti Provera per sviluppare l’intera area di via Rizzoli (di sua proprietà) ha cominciato a pagare un affitto.
Negli ultimi dieci anni così se ne sono andati più di 70 milioni di euro solo di canoni di locazione. Anche perché tra una modifica e l’altra, un ampliamento e il successivo, il costo complessivo della sede è triplicato fino a sfiorare i 13 milioni di euro l’anno, senza contare le spese di arredo e manutenzione.
Un grande affare, un vero monumento allo spreco (e ai conflitti d’interesse). E anche una beffa per la città di Milano che nel 2005 (giunta Moratti) aveva rilasciato tutti i permessi e le deroghe necessarie al progetto immobiliare di via Rizzoli, in cambio della riqualificazione di un quartiere di periferia che non c’è mai stata. Al posto dei cinema e centri commerciali promessi ci sono oggi capannoni abbandonati e rovine.
Senza Bavaglio
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