EQUO COMPENSO/Una proposta sul come calcolarlo

Qual è il giusto compenso del lavoro di un collaboratore non contrattualizzato, cioè pagato a singolo articolo? Si tratta di una domanda e di un argomento che ha avuto più di una risposta, ma che viene ancora risolto solo ed esclusivamente in  base dell’arbitrio del singolo editore. Più correttamente si deve dire che il cosiddetto giusto compenso viene stabilito, come sempre quando si tratta di pagamenti per una merce o per un servizio, dai rapporti di forza tra il datore di lavoro, nel nostro caso l’editore, e il lavoratore, nel nostro caso il giornalista non contrattualizzato.

E siccome a causa della crisi dell’editoria, del suo problematico passaggio dalla carta all’online o completamento della carta con l’online, e a causa della mancanza di idee e a abbondanza di ignavia della dirigenza sindacale, il rapporto di forza è sempre più a vantaggio degli editori e a svantaggio di noi giornalisti, ecco che scivoliamo sempre più verso il basso. Fabio Gibellino ha indicato casi emblematici della pessima condizione dei nostri colleghi non contrattualizzati e Senza Bavaglio ha il merito di avere definito qualche anno fa un tariffario abbastanza dignitoso. Che però risente anch’esso dell’andazzo generale.

A tutto ciò si aggiunge il diluvio di giornalisti e aspiranti tali dovuto alla faciloneria con la quale gli stessi Ordini regionali dei giornalisti hanno fondato scuole di giornalismo inflazionando così il settore e illudendo molti giovani che sognavano la professione e si ritrovano con un pugno di mosche: disoccupati e sottopagati a singolo pezzo con compensi non so se più ridicoli od offensivi. La sproporzione tra domanda e offerta gioca a sfavore di quest’ultima. E si vede.

Veniamo ora alla proposte pratiche. Resto dell’idea che il giusto compenso deve essere calcolato come ho più volte detto fin dal 2005 nelle assisi nazionali non solo del comitati di redazione all’hotel Ergife di Roma. Di ogni testata si deve calcolare qual è per l’editore il costo reale  di un articolo, per esempio di ogni singola riga di articolo su periodici e quotidiani o per ogni minuto di messa in onda per le radio e televisioni. Ripeto: il costo reale, cioè il suo costo rapportato alla paga media e alla produttività dei giornalisti a contratto delle rispettive testate. E quel costo deve essere la cifra da corrispondere come compenso per ogni cartella o minuto di messa in onda di un non contrattualizzato.

Facciamo un esempio. Se dividendo la somma degli stipendi annuali di tutti i giornalisti a contratto del Corsera o di Repubblica per il totale delle righe di articoli da loro prodotti in un anno salta fuori che ogni riga costa 1 euro, la retribuzione di ogni singola riga dei pezzi dei collaboratori non contrattualizzati dovrà essere di 1 euro. Se il costo di una riga così calcolato dell’ipotetica testata l’Eco della Valtellina dovesse essere di 20 centesimi di euro, a ogni collaboratore non contrattualizzato dovrà essere corrisposto il compenso di 20 centesimi per ogni riga di suo pezzo. Idem per ogni minuto di messa in onda su radio e televisioni, private o pubbliche che siano.

E poiché la Repubblica italiana è fondata sul lavoro inteso come figura e dignità professionale e non sulla forza lavoro intesa come merce un tanto al chilo, si deve stabilire per legge una durata massima della collaborazione a singolo pezzo, dopodiché deve scattare l’obbligo dell’assunzione a tempo indeterminato. Conquiste impossibili da ottenere con i sindacati e i sindacalisti che abbiamo, calatori delle nostre braghe di fronte allo scempio della contrattazione nazionale e responsabili del dilagare di contratti a termine rinnovabili sì, ma sempre a tempo determinato. Per giunta camuffati da contratti a progetto e altre simili fumosità anche quando dei progetti non c’è neppure l’ombra, si tratta solo di scuse per fregare il prossimo. Inteso come prossimo giornalista.

 

Pino Nicotri
(Senza Bavaglio, consigliere della Lombarda)

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