EQUO COMPENSO/Se questo è un compenso equo, possiamo andare a casa tutti

Con una certa sorpresa e tanto disappunto ho letto che l’Ordine dei giornalisti ha approvato un documento che si intitola “Determinazione dell’equo compenso”.  In realtà non mi pare che quel testo determini un compenso equo. Piuttosto si tratta più semplicemente di un tariffario. A parte il fatto che un tariffario, sebbene minimo, sia vietato dalle norme dell’Unione Europea, non mi pare che quel documento determini alcunché.

RETRIBUZIONE ADEGUATA
Per equo compenso si deve intendere una retribuzione adeguata al lavoro svolto e che è stato richiesto dal committente. Invece il tariffario proposto dall’Ordine non intende valutare il reale valore del lavoro richiesto, ma il risultato pubblico di questo lavoro.

E’ quindi l’impianto stesso di quel documento (si può leggere sul sito dell’Ordine) che non funziona. La filosofia che lo ispira dev’essere del tutto ribaltata,  se veramente si vuole offrire una piattaforma di equo compenso ai colleghi.

Il documento, per esempio, valuta in un modo diverso uno stesso lavoro. Perché un articolo per un quotidiano nazionale viene pagato 100 euro, mentre per il sito web dello stesso quotidiano 40 euro? Ma il lavoro che si richiede a un collega non è forse lo stesso?

INVIATI DI GUERRA
Scusate ancora, e non definite, per favore, arroganza la mia critica a quel documento. Prendiamo il criterio con cui si è stabilito di pagare in inviato di guerra 150 euro. Ma il lavoro di un giornalista che va in guerra non può essere valutato per quello che scrive. Al di là delle spese, pagate dall’editore, lo diamo per scontato, programmare un reportage in una zona di guerra può richiedere per un giornalista giorni e giorni di lavoro per prendere i contatti, organizzare il viaggio, magari cercare una scorta adeguata. E chi paga quel tempo di lavoro?

Se si legge il tariffario varato dall’Ordine si comprende che i tempi necessari per fare un buon lavoro (non parlo della ricerca delle informazioni, né della scrittura di un pezzo) sono sempre a carico del giornalista. Sono vent’anni che noi di Senza Bavaglio lottiamo per superare questo modo di valutare il lavoro. Quel documento ci riporta indietro nel tempo!

CRONISTA APPOSTATO
Infine, scusate ancora: cosa prevede quel tariffario per un cronista cui viene chiesto di appostarsi ore e ore per strappare un’intervista o una dichiarazione o una fotografia. E se l’appostamento fallisce e non produce né un articolo né un’istantanea? Nessun pagamento. E se l’articolo richiesto non viene pubblicato? Nulla. E’ questo forse un compenso equo?

I pagamenti vanno valutati sul lavoro che effettivamente si richiede al giornalista, non sul prodotto finale. Questo se si vuole veramente raggiungere una legge che stabilisca un compenso equo. Se invece si vuol solo gettare fumo negli occhi allora vanno bene, benissimo, le scelte dell’Ordine e della FNSI.

Massimo A. Alberizzi

 

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