Eugenio, il quinto evangelista, e Giorgio, il bramino

Nei giorni scorsi, e ancora oggi 5 gennaio, il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, ha dimostrato per l’ennesima volta che quando non si limita a fare il giornalista, il polemista, ma si atteggia a esperto di qualche disciplina in particolare, commette solo strafalcioni. Gli è successo in passato molto spesso per l’economia, ma adesso addirittura nella teologia.

Domenica 29 dicembre, nel suo consueto domenicale, ha scritto che Bergoglio sarebbe un papa rivoluzionario perché ha “abolito il peccato”. Pensate un po’! Poi però ha precisato, nello stesso articolo, che tale “abolizione” discenderebbe dal fatto che se in punto di morte il peccatore si pente e si converte ottiene il perdono di Dio.

Padre Lombardi dopo un paio di giorni, dai microfoni di Radio Vaticano, ha gentilmente fatto notare all’illustre interlocutore che questo papa non ha abolito un bel niente, al che Scalfari ha controreplicato ribadendo il concetto del pentimento in punto di morte, cosa che costituirebbe la vera rivoluzione di papa Francesco.

Ma questa pretesa “scoperta” è arcinota sin dall’infanzia a chiunque abbia frequentato il catechismo o le lezioni di religione alle scuole medie. Qualcuno deve aver fatto notare questo al fondatore di Repubblica, e allora nell’intervento di oggi domenica 5 gennaio, ha cambiato discorso dicendo che la vera rivoluzione sta nel fatto che Papa Francesco avrebbe innovativamente affermato che se nel fondo della propria coscienza un uomo pensa con convinzione di aver operato per il bene, egli sarà salvo anche se qualcuno, e la stessa autorità ecclesiastica,potrà pensarla diversamente sul suo comportamento. Povero Scalfari, non sa che anche questo concetto da lui elevato ad alto principio filosofico – teologico, come il precedente, e della cui “scoperta” tra le esternazioni di Papa Bergoglio se ne è attribuita la paternità, è noto ai credenti e non, sin dai primi anni di catechismo o di lezioni di religione a scuola. Insomma Scalfari ha compiuto in entrambi i casi la classica “scoperta dell’acqua calda”.

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si conferma sempre più come il capo e protettore vero della “casta”. Nel suo discorso di fine anno ha letto una lettera di un cittadino marchigiano il quale lamentava che mentre lui è costretto a fare, a causa della crisi, molti sacrifici i politici non ne fanno alcuno. Già è abbastanza sintomatico il fatto che per esporre questo concetto banale, noto e condiviso da tutta la popolazione italiana, abbia dovuto far parlare una terza persona, quasi temesse che il denunciare in prima persona l’ingiustizia avrebbe potuto urtare la suscettibilità dei suoi ex colleghi, ma lo scandalo vero è costituito dal fatto che la lettura della lettera è stata chiosata, dal nostro presidente, con l’affermazione che “i provvedimenti già presi dal governo si orientano in questa direzione”.

Ma cosa dice Signor Presidente? Solo perché il governo ha varato un dl che entrerà in vigore nel 2017 (se entrerà mai veramente) e che dovrebbe riformulare il finanziamento ai partiti, Lei già dice che i politici stanno facendo sacrifici? Deve avere veramente tanta fantasia. Non Le pare di aver preso in giro quel cittadino che Le ha scritto? Ogni giorno escono notizie di corruzione, oppure di retribuzioni stratosferiche per politicanti da strapazzo collocati in qualche ente pubblico, o comunque di privilegi dei nostri politici: Signor Presidente è a questi che dovrebbe dedicare qualche sua meditazione ed esternazione.

Cordialmente. Alla prossima.

Giovanni La Torre

5 gennaio 2014

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