EDITORIA/La promessa staffetta vecchi-giovani non crea lavoro

Il presidente del Consiglio Letta ha dichiarato sabato (1° giugno, ndr) a Trento che il problema del lavoro e, in particolare, quello della disoccupazione giovanile, è la priorità numero uno del suo governo. Gli argomenti per far valere questo principio nel suo governo non gli mancheranno.
I dati comunicati il giorno prima dall’ Istat, dati ben noti all’ attuale ministro del Lavoro, gli danno ragione. Il rischio per un giovane di essere disoccupato in Italia è quattro volte più alto che per le altre fasce di età. Non c’ è altro paese Ocse in cui i giovani abbiano uno svantaggio così forte. Le analisi nella Relazione annuale del Governatore di Banca d’Italia, analisi ben note all’ attuale ministro dell’ Economia, portano a ritenere che i costi della disoccupazione per i giovani siano ulteriormente aumentati.

Dopo aver prolungato gli studi o essere rientrati in casa dei genitori in attesa di tempi migliori, si sono infatti rimessi a cercare lavoro perché la crisi non accenna a finire e hanno ormai raschiato il fondo del barile. Immaginiamo che, dunque, il governo sia alacremente al lavoro per trovare risorse e un consenso tra i partiti della sua composita maggioranza nel varare provvedimenti d’ emergenza sul lavoro.


Bisogna farcela entro l’ estate dato che i mesi di settembre e ottobre sono molto importanti per l’ ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. In questo contesto, anche il ricorso alla decretazione d’ urgenza può essere legittimo. Nel frattempo vorremmo rivolgere un appello ai ministri coinvolti in questo processo: per favore lavorate in silenzio e smettetela di fare annunci. Hanno l’ unico effetto di peggiorare ulteriormente la situazione

occupazionale e di disorientare l’ opinione pubblica. Vediamo in due esempi perché.


Domenica (2 giugno, ndr) il vicepresidente del Consiglio Alfano (crediamo abbia parlato in tale veste dato che le politiche del lavoro non sono state sin qui materia del ministero degli Interni) ha annunciato un piano per detassare le assunzioni di giovani disoccupati. Mettetevi nei panni di un datore di lavoro che si apprestava ad assumere lunedì due giovani disoccupati nella sua azienda.


Apprendendo dai siti web di questo piano, che se attuato lo metterebbe in condizione di assumere i due lavoratori ad un costo inferiore di almeno il 50 per cento a quello preventivato, avrà con ogni probabilità deciso di aspettare l’ entrata in vigore del piano prima di procedere all’ assunzione. Se il piano dovesse poi essere varato, quel datore di lavoro si troverà premiato per assunzioni che avrebbe fatto comunque, con dunque uno spreco di denaro pubblico.


Se invece il piano non venisse varato, ecco che forse il ministro Alfano avrebbe davvero ragioni per occuparsi della vicenda, questa volta per questioni di ordine pubblico. Gli annunci hanno anche l’ effetto di disorientare l’ opinione pubblica. Pensiamo ai reiterati annunci sulla staffetta giovani-anziani. Se ne parla da anni, ma questa volta sono stati ribaditi più volte da esponenti di primo piano del governo, al punto che lo stesso Ufficio Internazionale del Lavoro (Ilo) ha ritenuto ieri di intervenire sulla questione censurando in anticipo i piani del governo italiano in quanto discriminatori.


I lavoratori italiani si sono sentiti dire molte volte negli ultimi vent’anni che avrebbero dovuto lavorare più a lungo. Poi milioni tra di loro sono rimasti bloccati dalla riforma delle pensioni varata a fine 2011 quando il paese era sull’ orlo del baratro, dovendo in alcuni casi rimandare fino a cinque anni piani di pensionamento su cui avevano ponderato a lungo e costruito progetti di vita.


Dopo aver accettato o anche semplicemente subito questo sacrificio, ora si sentono dire che stanno impedendo ai giovani di entrare nel mercato del lavoro: bene che si facciano almeno un po’ da parte, riducendo il loro tempo

di lavoro, passando dal tempo pieno al part-time, e permettendo così a dei giovani di venire assunti.


Intuiamo il loro turbamento: oltre il danno di dover ritardare l’andata in pensione, vivono la beffa di sentirsi accusare di portare via lavoro ai giovani. È una beffa davvero inutile anche perché si basa su un ragionamento che non ha alcun fondamento. Coloro che ritardano l’ andata in pensione in realtà aumentano la probabilità di un giovane di trovare lavoro, perché contribuiscono a ridurre il prelievo fiscale e contributivo sul lavoro che serve in gran parte a pagare la pensione a chi ha potuto ritirarsi dalla vita attiva prima di loro.


Sono questi ultimi, dunque, semmai, quelli che portano via il lavoro ai giovani e che dovrebbero, se ricevono pensioni molto alte in termini assoluti e in rapporto ai contributi versati, dare loro sì un contributo di solidarietà ai giovani, rinunciando a una parte della loro pensione, pur di ridurre le tasse o finanziare sussidi di disoccupazione. Inoltre, non è affatto vero che giovani e anziani sono tra di loro sostituibili. È vero, semmai, esattamente il contrario: c’ è molta complementarietà tra lavoratori di diverse età.


Molti studi su campioni longitudinali di lavoratori dimostrano come si rimanga produttivi anche in età avanzata, ma questa produttività si esprima su abilità diverse che tra i più giovani. Ad esempio, col passare degli anni si diventa più bravi a comunicare, a gestire oltre che nel trasmettere ad altri conoscenze, vale a dire si è più efficaci in quella formazione di cui hanno maggiore bisogno i giovani, che mancano di esperienza.


Sostenendo che giovani e anziani sono sostituibili si offre anche un messaggio sbagliato ai datori di lavoro che spesso hanno pregiudizi negativi nei confronti dei lavoratori con più di 45 anni, tant’ è che chi tra di loro perde il lavoro, fa una fatica tremenda a reinserirsi nel mercato: solo uno su quattro ci riesce in un anno. Se valutati in quanto a velocità e dinamismo oppure forza fisica, con rare eccezioni, non potranno certo competere con i più giovani. Ma se valutati sulla base di parametri diversi, si potranno rivelare particolarmente utili in un’ azienda che sa valorizzare il modo con cui l’ età plasma le abilità individuali.


Gli studi mostrano anche che le differenze fra lavoratori nelle abilità individuali e nella produttività tendono ad aumentare con l’ età. Per questo le politiche imposte dall’ alto sono quanto mai controproducenti quando si vuole imporre un dato profilo d’ età alla forza lavoro.


I sindacati hanno in questi giorni siglato un importante accordo sulla rappresentanza che permetterà di esercitare meglio la contrattazione azienda per azienda. Lasciamo allora che discutano coi datori di lavoro come aumentare l’occupazione e promuovere forme di work-sharing a questo livello decentrato, tenendo conto delle specificità di queste imprese e di chi vi lavora. Più in generale le politiche di sostegno alla creazione di lavoro dovrebbero evitare di utilizzare discriminanti di età. Queste soglie sono una trappola anche per chi magari ne beneficia, perché introducono differenze che non hanno nulla a che vedere con i loro meriti e capacità.


L’ età vuol dire cose molto diverse per lavoratori diversi. È questa dopotutto la stessa ragione per cui sarebbe stato meglio introdurre riduzioni nell’ importo delle pensioni per chi si ritira prima dalla vita attiva, anziché imporre rigidi vincoli di età a intere generazioni di lavoratori. Pare che lo abbia imposto la Ragioneria dello Stato. Siamo stati perciò felici nell’ apprendere che chi la guida da due settimane a questa parte è un profondo conoscitore del delicato patto intergenerazionale che sta alla base del nostro sistema pensionistico.


Tito Boeri 
Da Repubblica del 4 giugno 2013

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