Le iniziative della FNSI nei confronti di precari, freelance, autonomi e ‘flessibili’ vari sono giocoforza votate al fallimento. Le raccomandazioni del vertice sindacale ai CdR perché rappresentino anche gli interessi dei collaboratori sono solo un esercizio di ipocrisia. Vediamo perché.
Ancor più dei sindacati dei lavoratori non giornalisti, il nostro sindacato storicamente si è formato, come personale e come mentalità, sulla figura del giornalista contrattualizzato, dal praticante al redattore, dall’inviato ai componenti dello staff. Figura, quella del contrattualizzato, che fino a qualche anno fa era maggioritaria, struttura portante di qualunque redazione, ma che ora è invece sempre più minoritaria. Quali che siano le intenzioni dei quadri sindacali, il sindacato in quanto tale non rappresenta più gli interessi della grande maggioranza dei colleghi, che peraltro si è sempre interessata alla vita sindacale in proporzione minima. Ecco perché piovono le accuse, peraltro spesso qualunquiste, di rappresentare solo ‘i privilegiati’, la corporazione della corporazione.
Per quanto la dirigenza della FNSI, come anche dei sindacati dei metalmeccanici, ecc., si sforzi di organizzare i precari di vario tipo resta il fatto che li vede come ‘anomalia’, mentre invece ormai sono la norma, e quindi la componente ‘paternalista’, se non ‘caritatevole’ o nella migliore delle ipotesi ‘illuminista’, nell’azione sindacale è inevitabile. I professionisti sindacali che come DNA sono i rappresentanti dei professionisti con il contratto a tempo indeterminato non possono avere, nonostante la più buona volontà, l’esperienza necessaria per organizzare il precariato per il semplice motivo che non ne vive la condizione. E non vivere una condizione umana e lavorativa particolare significa inevitabilmente non conoscerla. Sono i precari che devono organizzarsi! Collegati o non alla FNSI, ma magari in un primo periodo non collegati: almeno finché non riescono ad avere una forza autonoma tale da poter contrattare con la FNSI in condizioni non di inferiorità condizionante.
Lo stesso discorso vale per i CdR, ma su scala più grave. I CdR NON hanno MAI rappresentato gli interessi dei collaboratori, neppure di quelli con contratto ex articolo 2 del Contratto nazionale di lavoro, e troppo spesso sono stati l‚occasione per i suoi membri per fare carriera mostrandosi arrendevoli verso direttori ed editori. E‚ quindi del tutto impossibile che i CdR si mettano di punto in bianco a rappresentare anche gli interessi dei precari, per giunta privi di qualunque tipo di contratto e comunque non ex articolo 2. Tanto più è impossibile oggi, dopo che la FNSI e molti CdR hanno permesso un notevole dimagrimento delle redazioni, con una marea di prepensionamenti, creando così una situazione in cui è evidente che i contrattualizzati, cioè i ‘garantiti’, campano in parte non trascurabile sullo sfruttamento dei non garantiti, utili anche a minimizzare il costo del lavoro a tutto beneficio dei bilanci aziendali, vale a dire dell‚editore. Lo scandalo particolare di oggi sono le assunzioni “a progetto” in totale assenza di un qualunque progetto! A meno che per progetto non si intenda quello di sfruttare il più possibile i colleghi evitando perennemente di metterli in regola.
Come se ne esce? A mio avviso, in due modi:
1) – 1il precariato deve organizzarsi, ripeto, autonomamente, anche a costo di doversi organizzare non di rado in opposizione al ‘garantitato’, cioè ai giornalisti „garantiti, vale a dire contrattualizzati, ex articolo 1 o ex articolo 2 che sia. Il precario deve avere ben chiaro che il contrattualizzato vive anche del suo sfruttamento. Non si tratta certo di mettere gli uni contro gli altri, ma ‘solo’ (!) di trovare il giusto rapporto reciproco, senza che i primi vadano a rimorchio dei secondi.
2) ˆ Come ho già proposto più volte, a partire dai congressi dei CdR organizzati alla FNSI all‚hotel Ergife a Roma se non erro nel 2005, il costo del lavoro precario deve essere superiore o almeno eguale a quello del lavoro stabilizzato. Come calcolare questo costo? E‚ semplice: basta calcolare il costo per pagina, o colonna o rigaggio o singola battuta di un articolo scritto da un giornalista contrattualizzato e assumerlo come retribuzione base per i non contrattualizzati a parità di lunghezza degli articoli pubblicati o anche solo ordinati ma non pubblicati. Anzi, per scoraggiare il ricorso selvaggio al precariato tale costo lo si può aumentare di un 10 o 20 o 50% per farlo diventare la misura della retribuzione del precario, a parità di spazio pubblicato o anche solo ordinato ma non pubblicato.
Già al congresso nazionale della FNSI di S. Vincent proposi, inutilmente, di dare alle associazioni stampa regionale lo stesso potere di intervento e controllo nelle redazioni e amministrazioni che ha l’INPGI per quanto riguarda il rispetto del contratto nazionale di lavoro specialmente in tema di versamento dei contributi previdenziali. Ricordo ancora con sgomento come Guido Besana intervenne per bocciare la mia proposta per difetto di legislazione e, di conseguenza, di impossilità legale delle associazioni stampa di andare a ‘ficcare il naso’ nelle redazioni. Come se la categoria non fosse in grado di esercitare sul mondo politico la pressione sufficiente a rimediare a un tale difetto di legislazione. Dopo S. Vincent ci sono stati i congressi nazionali FNSI di Castellaneta Marina e di Bergamo. Ma NULLA è stato non solo fatto, ma neppure tentato o anche sol immaginato per dare alle associazioni regionali stampa poteri analoghi a quelli della FNSI.
Sempre a S. Vincent ‘long time ago, ahimé’ proposi di cambiare il nome alla FNSI, inteso come Federazione Nazionale della Stampa Italiana, in quello di FNGI, inteso come Federazione Nazionale dei Giornalisti Italiani, visto che ormai il giornalismo non viveva già più solo di giornali stampati. Da quel congresso sono passati vari anni, e nel frattempo è dilagato il giornalismo online, su telefonini, ecc., rendendo alquanto superata o comunque meno centrale non solo la carta stampata ma anche la televisione via etere. Ed è nei nuovi tipi di massmedia che alligna di più lo sfruttamenti che ha permesso alla FNSI di portare a casa un discreto aumento di stipendio dei contrattualizzati ottenuto evidentemente e scaldalosamente sulla pelle dei precari, freelance, ecc., come anche sulla pelle della massa degli espulsi dalle redazioni sotto forma di prepensionati.
Il sindacato però, formato sulla carta stampata, continua a chiamarsi beatamente FNSI, dimostrando così platealmente tutta la sua arretratezza e tutto il suo vecchiume. Nonché il suo campare sulle spalle di una marea di non rappresentati, colleghi e aspiranti tali condannati a lavorare tanto nelle viscere delle sterminate e ubique miniere dell’online quanto in quelle dell’informazione locale e di quella dei giornali distribuiti gratis come carta straccia o da incartarci il pesce anche quando sono prodotti professionalmente dignitosi.
Poi c’è il caso particolare della mancanza di coraggio dell‚attuale segretario generale della FNSI, Franco Siddi, nei confronti di editori, verso alcuni dei quali ha mostrato, nel corso del congresso di Bergamo, un imbarazzante ossequio e una imbarazzante subalternità. Ma questo è un argomento sul quale preferisco ancora tacere. Almeno finché l’indignazione, vieppiù crescente, non raggiunga livelli troppo oltre il limite del tollerabile.
Pino Nicotri
Senza Bavaglio
Consigliete generale Inpgi
Consigliere della Lombarda
Leave a Comment