EDITORIA/Il governo taglia i fondi

Nessuno ci convincerà a ringraziare Valter Lavitola, anche se le nuove intercettazioni dei suoi dialoghi col presidente del Consiglio mostrano il direttore de L’Avanti! intento a perorare la causa del finanziamento pubblico all’editoria e persino preoccupato per il posto di migliaia di giornalisti.

E invece sono proprie le storie alla Lavitola, quelle che devastano la credibilità dell’intervento pubblico: un sostegno che negli ultimi anni ha subìto una costante erosione, ma che ha continuato ad essere erogato in base a criteri troppo opinabili. Così esperienze editoriali autenticamente preziose per il pluralismo informativo si trovano accomunate ad imprese di ben più incerta consistenza, e i giornali veri – con un pubblico di lettori reale – rischiano di pagare per i comportamenti di altri.
La Fnsi ribadisce una volta di più la sua richiesta di rigore. Il regolamento varato l‚anno scorso dalla Presidenza del Consiglio è stato un passo in avanti, ma non cancella la necessità di una incisiva legge di riforma. Una necessità che le esigue risorse pubbliche rendono ancora più stringente: in tempi di crisi, è doppiamente insopportabile che anche un solo euro della collettività vada sprecato.

Questo il topolino partorito il 16 settembre dalla FNSI a fronte della montagna dell’inaridirsi delle provvidenze per l’editoria, cioè dei soldi pubblici stanziati dal governo per sostenere il giornalismo. A parte il fastidioso errore di battitura – “proprie” invece che “proprio” – a proposito de “le storie di Lavitola”, errore che un organo di giornalisti come la FNSI non dovrebbe permettersi neppure in caso di bombardamento aereo, colpisce la mancanza di qualunque accenno ai circa 4.000 posti di lavoro che a quanto pare saranno cancellati dall’eliminazione dei contributi per i giornali di organismi no profit e affini. Con effetti devastanti anche sul bilancio dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti noto anche come INPGI.

I fondi per l‚editoria in tre anni sono passati da 650 milioni di euro circa ad appena 194 milioni e in parlamento tutti evitano come un appestato Lelio Grassucci, storico presidente di Mediacoop. Che infatti racconta: «Ormai mi evitano quando vado alla Camera. È assurdo, noi non chiediamo soldi in più, il fondo basterebbe nella sua consistenza attuale, seppur esigua, se non dovesse pagare quasi cento milioni tra convenzione Rai e debiti con le poste. Spese che non dovrebbero essere caricate sul fondo per l‚editoria»‰.

Per risparmiare 80 milioni di euro se ne spenderanno almeno 100 di ammortizzatori sociali, bruciando poco meno di 500 milioni di euro di Prodotto Interno Loro, il mitico PIL, e almeno 500.000 di copie di giornali in un’Italia che di giornali ne legge sempre pochissimi fin dagli anni successivi alla prima guerra mondiale.

A suo tempo il governo approvò la legge che ha permesso la ricostruzione figurativa dell’intera carriera dal dopoguerra in poi con gli annessi contributi previdenziali, mai versati, a tutti coloro che avevano lavorato più o meno in nero presso giornali di partito, sindacato, associazionismo vario, ecc.

La ricostruzione avvenne a spese dell’Inpgi, che versò di tasca sua, cioè nostra, oltre 400 miliardi di lire, pari ad almeno 200 milioni di euro oggi più la svalutazione,  per assicurare la pensione a una marea di colleghi. Tra i quali non pochi parlamentari e ministri di grido, veterani di redazioni quali l’Unità e molte altre testate, ma veterani che una pensione già ce l’avevano assicurata dal parlamento.

Ho chiesto più volte nel Consiglio generale dell’Inpgi che lo Stato verso al nostro Istituto previdenziale quei 400 e passa miliardi di lire visto che si è trattato di un ammortizzatore sociale, una funzione quindi di pubblica utilità, che in quanto tale deve essere a carico dell’Inps, non dell’Inpgi. Il suggerimento non è stato raccolto anche per timore di rappresaglie da parte del mondo politico.

Per fortuna è stato alla lunga raccolto un altro mio suggerimento, e cioè che la cassa integrazione dei giornalisti sia pagata dall’Inps visto appunto che si tratta di un altro ammortizzatore sociale.

Ora però è arrivato il momento di mettere sul tavolo tutte le carte di cui possiamo disporre, compresa la richiesta a gran voce di quei 400 e passa miliardi, anziché limitarci a comunicati piuttosto risibili.

Inoltre: visto che i parlamentari dopo tanto strepitare si sono ben guardati dal tagliare o almeno limitare significativamente i loro privilegi, potrebbero rinunciare almeno alla pensione Inpgi, o a una sua parte non solo simbolica, i moltissimi parlamentari giornalisti che si trovano quindi con una doppia pensione?

Vorrei ricordare che per ogni anno di parlamento di un giornalista eletto deputato o senatore l’Inpgi paga di tasca propria DUE anni di contributi previdenziali. Non oso chiedere quanti contributi, e per quale ammontare, l’Inpgi ha versato per i vari Veltroni, D’Alema, Fini, Mastella, ecc., parlamentari transitati tutti per l’Unità, il Secolo, la Rai, ecc., prima di approdare lungamente in parlamento.

 

Pino Nicotri
Consigliere generale dell’Inpgi
Direttivo della Lombarda
Senza Bavaglio

 

 

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