VIOLAZIONI FINANZIARIE/I giudici accusano anche Donati (FIEG)

Rischiano di finire sotto processo le 9 persone accusate di aver compiuto operazioni di abusivismo bancario per oltre 200 milioni di euro, utilizzato fatture false per 9 milioni di euro, effettuati fittizi aumenti di capitale sociale per 80 milioni di euro, fatte finire in società in bancarotta. Nei loro confronti i pm Andrea Mosca e Giuseppe Cascini hanno formalmente chiuso l’inchiesta, atto questo che di norma prelude ad una richiesta di rinvio a giudizio.
Associazione per delinquere, abusiva attività bancaria, abuso di denominazione bancaria falsità in scrittura privata, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, bancarotta fraudolenta, formazione fittizia del capitale, false comunicazioni sociali, tentata truffa, falso ideologico, calunnia, resistenza a pubblico ufficiale. Questi i reati contestati, a seconda delle singole posizioni processuali, agli indagati, per fatti avvenuti dal giugno 2005 ad oggi.
Hopit Spa’ (dichiarata fallita nel febbraio 2009) e ‘Rappresentanza italiana della Kuban Bank’ (falso istituto di credito) sono le due società al vertice di un gruppo intricato di aziende finanziarie, editrici e di telecomunicazioni facenti capo a Gian Gaetano Caso e al figlio Fabio, entrambi indagati.
E sotto accusa c’è anche Alberto Donati, già al vertice del Corriere dell’Umbria, e consigliere Fieg delegato ai problemi sindacali. Secondo i pubblici ministeri attraverso la ‘Rappresentanza italiana della Kuban Bank’ sarebbero stati emessi certificati obbligazionari e false fideiussioni, queste ultime idonee a garantire prevalentemente le società del gruppo Hopit nei rapporti con i terzi, favorendone così la stipulazione di contratti.
Attraverso la Hopit (holding di un cui gruppo di cui fanno parte la Net.Tel. Spa, la Ghenda Srl, Avatar Srl, la Editoriale 10, la Editoriale 7 Srl, la Editoriale 11, la G&A Giornali Associati) gli indagati avrebbero anche violato il testo unico in materia finanziaria e creditizia, effettuando operazioni illecite per oltre 37milioni di euro.
L’indagine è stata avviata dopo una ispezione antiriciclaggio della Guardia di Finanza del febbraio 2008 nella sede principale del gruppo a Roma, in via Via XX Settembre 5.
Da quel momento il castello delle numerose società del gruppo cominciarono a vacillare e le indagini culminarono il 20 aprile scorso con l’emissione di 7 provvedimenti cautelari (due in carcere e cinque ai domiciliari). Secondo le verifiche della Guardia di finanza era emerso un complesso meccanismo di costituzione e di vendita di certificati obbligazionari esteri tra società facenti parte dello stesso gruppo. E poi si cercava di far ritenere solido un gruppo imprenditoriale in grado di stipulare vantaggiosi contratti di locazione immobiliare, di fornitura di beni e servizi con terzi che poi, invece, non sono stati mai onorati.

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