Come andrà a finire con la trasmissione di Michele Santoro non si sa, si sa invece come è andata finire con quelle di Mimmo Lombezzi a Mediaset.
Da qualche giorno “Storie di confine”, la serie di reportages che il collega Mimmo curava per Rete4, ha partorito una sottospecie che non ha più la sua firma, ma è condotta e curata da Stella Pende, che non ho mai ben capito che meriti avesse per sbarcare in tv. Ricordo ancora con sbigottimento una puntata di una sua trasmissione dedicata al povero Ambrogio Fogar ormai paralizzato. Una puntata storica per capire la siderale distanza tra il mostrare mostrandosi e il capire facendo capire, cioè informando. Strano binomio una milanese bene dotata di folta chioma e un corpo paralizzato di un milanese tanto agitato e affamato di vita e di avventura da pagarne lo scotto in modo drammatico in età ancora giovane.
Lo strano però è che del caso Lombezzi nessuno parla. Se non sei Marco Travaglio o Michele Santoro e sei un giornalista mobbizzato non fai notizia e tutti se ne fregano, come ebbi modo di scoprire quando ci fu la campagna per far rispettare a un editore la sentenza di riassunzione di Ugo Degl’Innocenti, che per l’appunto non era una star e quindi nessuno se lo filava. Nel caso di Lombezzi ci sarebbe da capire anche perché mai i suoi programmi hanno sempre vita breve. Prima gli hanno chiuso “Link”, il settimanale che, insieme a Sabina Fedeli, aveva curato per due anni su Canale 5 e che , voluto da Giorgio Gori , faceva una media altissima (il 21% ). Poi, come raccontava tempo fa Aldo Grasso sul “Corriere della sera”, è stato ibernato per anni a “Studio Aperto”, soprattutto durante la seconda guerra del Golfo. E dire che Lombezzi aveva “coperto” la prima guerra da Tel Aviv e dal Kurdistan.
Negli ultimi tempi Mimmo aveva ricominciato a lavorare, prima per “Kosmos”, poi per “Tempi Moderni”, due settimanali di Videonews, infine per “Storie di Confine” , la riedizione patinata di “Mission”, un format di Italia1 (anche questo realizzato con Sabina Fedeli ) che tra i 2001 e il 2002 raccontava ogni volta un paese ( l’Uganda, la Colombia, le Filippine, il Costa Rica, etc. ) attraverso l’opera dei volontari che vi lavoravano. Nel 2002 lo speciale sull’Eritrea fu, tra l’altro, il primo a denunciare l’involuzione autoritaria di quel Paese. Strano, ma successivamente l’Eritrea è scomparsa da tutte le inchieste tv, persino adesso che rovescia sulle nostre coste centinaia di rifugiati e vende armi ai talebani somali. Perché questo silenzio decisamente innaturale?
Va detto che Lombezzi insieme a Guido Besana è stato l’unico giornalista di Mediaset che abbia preso una posizione chiara e pubblica contro la legge sulle intercettazioni, senza nascondersi comodamente, come accade anche in Rai, dietro i Cdr, sempre più spesso paraventi anche di complice ignavia. Evidentemente Lombezzi non fa parte dei colleghi stuoino, a schiena curva a pecoroni o Minzoloni. E questo spiega, forse, la strana “precarietà” dei suoi programmi. Anche la minirubrica sulle piccole imprese, che faceva su Mattino5 ( credo si chiamasse “Start Up”), appare e scompare come le stagioni, ogni sei mesi anziché ogni dodici. Chissà, forse perché il mito berluscone racconta sempre che “la crisi non esiste”, è un po’ come la camorra e le varie mafie: “non esistono” e quindi parlarne “fa male all’Italia”….
Ma forse il caso Lombezzi si spiega col fatto che il minzolinismo non è solo un fenomeno Rai. E’ stato prima rodato a lungo altrove.
Pino Nicotri
Senza Bavaglio
Consigliere generale Inpgi
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