NESSUN sistema democratico, per malandato che sia, può fare a meno di una opinione pubblica informata, consapevole, reattiva. Altrimenti si scivola verso la democrazia d’ investitura, si trasforma il popolo in “carne da sondaggio”. Etorna d’ attualità la critica di Jean-Jacques Rousseau: «Il popolo inglese crede d’ essere libero, s’ inganna, non lo è che durante l’ elezione dei membri del Parlamento;
non appena questi sono stati eletti, esso diventa schiavo, non è più nulla». Dobbiamo malinconicamente constatare che nell’ Italia di oggi anche quella libertà elettorale è stata sequestrata, visto che la “legge porcata” ha trasferito alle oligarchie dei partiti quella scelta dei parlamentari che dovrebbe essere nelle mani degli elettori? A temperare questo pessimismo sono intervenuti nelle ultime settimane alcuni fatti che mostrano un risveglio dell’ opinione pubblica e i nuovi modi in cui essa si organizza e si manifesta. Decine di migliaia di persone sostengono un appello contro “la legge bavaglio” su intercettazioni e divieto di pubblicazione di atti giudiziari. In poco più di tre settimane si è vicini al traguardo del mezzo milione di firme necessarie per il referendum sull’ acqua come bene comune. Le dimissioni del ministro Scajola non sarebbero venute senza una reazione popolare, così forte che qualche giornale ha dichiarato d’ aver abbandonato la difesa del ministro tante erano state le proteste dei lettori. Ed è significativo che un uomo con orecchio assai sensibile ai rumori provenienti dalla società, Silvio Berlusconi, abbia mutato strategia e dichiari che non vi sarà «nessuna indulgenzae impunità per chi ha sbagliato», senza trincerarsi dietro l’ abituale argomento dell’ aggressione giudiziaria e del complotto mediatico. Questi fatti suggeriscono quattro considerazioni di carattere generale. 1) Improvvisamente è stata riscoperta la responsabilità politica. Era scomparsa da decenni, con l’ argomento che i politici dovevano farsi da parte solo quando sul loro conto vi fosse stato un accertamento giudiziario, possibilmente definitivo. Questo era diventato lo scudo protettivo di schiere di politici. Proprio il caso Scajola, invece, ha messo in evidenza che esistono comportamenti che, pur non avendo rilevanza penale, sono incompatibili con funzioni pubbliche. Conclusione ovvia in altri paesi, ma che in Italia aveva guadagnato l’ accusa di moralismo a chi la ricordava e aveva spinto ad arrampicarsi sugli specchi con distinzioni tra reato e peccato. Ora le cose sembrano tornate ad essere chiare. La responsabilità politica è diversa da quella penale, e dovrebbe essere interesse proprio del ceto politico farla valere, per riguadagnare credito presso l’ opinione pubblica e non lasciare alla magistratura il ruolo di giudice unico della legittimità della politica. 2) Per evitare, però, che il caso Scajola rimanga una eccezione, è indispensabile salvaguardare le condizioni che hanno reso possibile il ritorno della responsabilità politica: la trasparenza, l’ informazione libera. Non ripeteremo mai abbastanza che nulla si sarebbe saputo delle fortune immobiliari di Scajola se fosse stata in vigore la legge che la maggioranza vuol fare approvare. Di questo è divenuta consapevole una opinione pubblica larga, che aderisce ad appelli, si organizza in rete, si manifesta nelle posizioni di magistrati, giornalisti, editori. E questa reazione mette in luce la contraddizione in cui s’ impigliano maggioranza e Berlusconi: si parla di una legge anticorruzione e si proclama la tolleranza zero contro i corrotti, ma poi si fa esattamente l’ opposto, rendendo impossibile la conoscenza di tutto quel che riguarda le inchieste giudiziarie per un tempo così lungo che sterilizzerebbe ogni anticorpo democratico. A proposito di una vicenda ancora oscura sulla quale ha richiamato l’ attenzione il Presidente della Repubblica, l’ abbattimento nel 1970 di un aereo civile sopra Ustica, si è calcolato che, con la legge in discussione, sarebbe stato lecito pubblicare le notizie solo nel 2000, trent’ anni dopo, rendendo così impossibile anche l’ impulso alle indagini venuto dall’ opinione pubblica. Bisogna aggiungere che, discutendo della legge, si devono considerare due questioni diverse, ma collegate: i limiti al potere d’ indagine della magistratura e il divieto radicale di informare i cittadini. Infatti, anche se alla magistratura fossero restituite tutte o quasi le possibilità di ricorrere alle intercettazioni, questo sarebbe un successo solo parziale, e per certi versi ingannevole, se poi l’ opinione pubblica rimanesse condannata all’ ignoranza. 3) Lo straordinario successo della raccolta delle firme per il referendum sull’ acqua dovrebbe insegnare molto sul modo in cui si può costruire l’ agenda politica. È affidata solo alle prepotenze della maggioranza e alle esitazioni dell’ opposizione? Si risolve tutta nello spazio mediatico?O può essere anche il risultato di iniziative dei cittadini? La vicenda referendaria consente di rispondere in modo affermativo a quest’ ultima domanda. Fino a ieri dell’ acqua si discuteva, se ne occupavano benemeriti parlamentari, ma la politica era sostanzialmente disattenta, ignorava una legge d’ iniziativa popolare firmata da quattrocentomila persone e venivano approvate norme senza una vera discussione pubblica. È bastato l’ annuncio del referendum perché questo panorama cambiasse, non solo creando una grande mobilitazione, ma anche suscitando discussioni sui rischi del referendum e sulla necessità di seguire piuttosto la via parlamentare. Nell’ agenda politica è comparso il tema, ineludibile, dell’ acqua. Se senatori e deputati pensano che la via parlamentare sia la migliore, possono percorrerla e hanno tempo fino alla primavera del 2011, epoca in cui si dovrebbe andare a votare sul referendum. Ma sono stati i cittadini a dettare i tempi, e alle loro indicazioni i parlamentari non possono sottrarsi. 4) Grandi temi sono davanti a noi. La conoscenza come bene comune, l’ acqua (e non solo) come bene comune. Qui le persone mostrano consapevolezza maggiore del ceto politico. E qui nasce una serie di domande. È necessario trovare forme di collegamento che consentano ad un’ opinione pubblica avvertita di dare continuità alle sue iniziative grazie alle opportunità offerte da Internet? Sta nascendo un sistema di comunicazione che, sia pure in forme ancora deboli, può cominciare a riequilibrare la prepotenza di un sistema televisivo che Berlusconi occupa militarmente nei momenti decisivi della vita politica? Le iniziative di questi giorni e il caso di Raiperunanotte, la trasmissione organizzata da Santoro nel silenzio elettorale, non sono esempi su cui ragionare? Non dice nulla lo sbarco di Berlusconi su Facebook, segno evidente che sulle reti sociali comincia a giocarsi una partita politica decisiva? Si può ignorare che il Trattato di Lisbona mette a disposizione dei cittadini europei un potere d’ iniziativa collettiva che potrà essere sfruttato in pieno solo predisponendo strumenti adeguati? A queste domande si risponde ragionando, ma soprattutto con iniziative permanenti di azione civica.
Stefano Rodotà
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