L’ultima “pansana” di Pansa

Vedo che Il Riformista fa finta di niente, come non avesse ricevuto la mia puntualizzazione riguardo lo strano ricordo tracciato da Giampaolo Pansa di Carlo Caracciolo e del periodo passato prima a Repubblica e poi a L’espresso. In  particolare, le gravi affermazioni di Pansa riferite al cambio del direttore de L’Espresso (a fine febbraio 2002 a Giulio Anselmi subentrò Daniela Hamaui) ledono di fatto anche l’onorabilità del Comitato di Redazione dell’epoca. Il CdR vi appare infatti muto, assente, e quindi complice o succube o raggirato dallo stesso Caracciolo e/o dal direttore subentrante. Le cose però non possono stare come le ricorda questa “pansana”, e lo dimostro con la dovuta pignoleria.

Ecco il passo che non può corrispondere al vero:

“Di quella stanza [ di Caracciolo] ho un solo ricordo negativo. Risale al giorno successivo all’improvviso e inspiegabile licenziamento di Giulio Anselmi, un buon direttore dell’Espresso, in carica da neppure tre anni. Una vicenda tuttora misteriosa, almeno per me. Che ho già rievocato sul Riformista, dopo la scomparsa di Caracciolo. Quel 21 febbraio 2002 venni convocato dal Principe. Lui sapeva che io sapevo. E con grande cordialità mi chiese che intenzioni avessi dopo la liquidazione di Anselmi. Gli risposi che era la proprietà a dover decidere. Potevo restare, o limitarmi a scrivere il Bestiario, oppure essere messo alla porta anch’io. Non avevo mai chiesto a nessun editore di darmi un lavoro o di conservarmelo. E non avrei di certo cominciato a farlo alla mia età non più verde. A quel punto, mi resi conto di avere di fronte un Principe che non conoscevo. Allarmato dalla mia risposta. E preoccupato della mia indifferenza. Un po’ affannato, mi garantì che anche con il nuovo direttore, Daniela Hamaui, non sarebbe cambiato nulla, la linea dell’Espresso restava quella di sempre, la linea che era stata di Claudio Rinaldi, poi di Anselmi e l’indomani di Hamaui. E per rassicurarmi, mi porse un po’ di fogli e disse: «Leggi qui e te ne convincerai». Lessi, strabuzzando gli occhi. Era il discorso che il nuovo direttore avrebbe fatto alla redazione nel momento di insediarsi, prima della votazione  dell’assemblea dei giornalisti. Stupefatto, chiesi al Principe: «Ma chi l’ha scritta questa roba?». Lui fece un gesto vago,  davvero principesco, che voleva dire: l’autore non ha importanza. Non era il primocambio di direzione che vedevo. Però non mi era mai capitato di leggere un discorso della corona preparato in anticipo da un fantasma. L’ho raccontato per ricordare, prima di tutto a me stesso, che nessuno è perfetto. E che i principi democratici possono rivelarsi capaci di intrighi non degni del loro lignaggio”.

Non ricordo che Daniela Hamaui nell’occasione citata da Pansa abbia letto un discorso, ma può essere che io ricordi male, concentrato com’ero sulle parole del nuovo direttore per vedere se combaciavano con quanto detto in precedenza a
noi del CdR dalla stessa Hamaui e per cercare di capire anche eventuali significati non detti ma impliciti del discorso. E’ però certo che Pansa non solo c’era, ma – cosa che notai e commentai con alcuni colleghi – si affrettò ad aggiungere che lui conosceva la Hamaui e poteva garantire che il giornale avrebbe continuato ad essere quello di prima. Oggi mi domando: come poteva Pansa farsi garante se davvero era al corrente del fatto che la Hamaui non stava facendo altro che leggere un discorso preparato da “un fantasma”? Se era disgustato da quanto scoperto il giorno prima nella stanza di Caracciolo, perché taceva e anzi copriva? Qui i casi sono solo due: o Pansa ricorda male, modo elegante per non dire che mente, o era connivente. Se lo era, tale è restato per quasi 9 anni di fila, visto che da L’espresso ha tolto il disturbo da poco.

All’epoca facevo parte della rappresentanza sindacale de L’Espresso, motivo per cui ero stato convocato assieme agli altri colleghi del CdR dall’amministratore delegato Marco Benedetto per una comunicazione urgente. Poiché l’editore aveva deciso di sostituire il direttore Giulio Anselmi e a succedergli aveva chiamato Daniela Hamaui, il CdR venne avvertito per tempo. La redazione aveva non solo il diritto di essere messa al corrente dei programmi e della linea del nuovo direttore, ma anche di votarne il gradimento.

Arrivato da Milano a Roma, venni invitato assieme agli altri del CdR e alla stessa Hamaui da Marco Benedetto a cena da Giovanni, un ristorante di via Marche, a quattro passi da via Po e a ridosso di via Veneto. Nell’agitazione dimenticai la giacca in redazione e quando da Giovanni, fatte le presentazioni, mi scusai dicendo che mi sarei assentato qualche minuto per andare a riprendermela onde evitare di stare in camicia a tavola con una signora, Benedetto si fece una mezza risata e mi disse: “Sta’ tranquillo. Anzi, visto che sei il più anziano dei giornalisti del CdR ti prego di condurre tu l’esame del qui presente direttore designato”. L’arrivo di una donna, per giunta giovane, al timone de L’Espresso era una tale novità che non la si poteva certo accogliere solo con applausi da quote rosa. Hamaui aveva fatto la fortuna dell’inserto femminile di Repubblica, da lei reso ben diverso dal solito contenitore di pubblicità, ma misurarsi con L’Espresso era tutt’altra faccenda. Sorvegliato anche dagli altri colleghi del CdR, l'”esame” fu piuttosto dettagliato e niente affatto  superficiale. Rimasi molto meravigliato che la Hamaui fosse risultata convincente, argomentando sempre bene le sue affermazioni, comprese le risposte alle mie non poche osservazioni e richieste di chiarimenti.

Il giorno dopo riferii in assemblea, dove il condirettore Pansa non c’era. Conclusi dicendo che con mia sorpresa le risposte fornite dalla Hamaui erano state convincenti, il programma e la linea che ci aveva esposto erano quanto di meglio ci si potesse aspettare. “Anche troppo”, avvertii: “Non dimentichiamo però che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Aggiunsi che l’arrivo di un direttore donna in un’epoca di politica e giornalismo declinati sempre al maschile e con i risultati non brillanti sotto gli occhi di tutti poteva essere un segnale positivo, un modo nuovo per capire meglio il nuovo che bolliva nella pentola Italia. Una collega mi accusò di essermi “già sdraiato sul nuovo direttore”. Gli anni successivi si sono incaricati di dimostrare chi si è sdraiato e chi no.

Pansa invece c’era quando l’assemblea venne riconvocata per la presentazione del nuovo direttore. Dopo il discorso programmatico della Hamaui, cominciarono a fioccare le domande dei redattori, ma a un certo punto a tagliar corto fu  proprio Pansa: “Conosco Daniela e vi posso assicurare che sarà un ottimodirettore”, parole dette rimarcando il proprio ruolo di condirettore. Che l’assicurazione venisse da Pansa, del quale circolava la voce che temesse di perdere il posto, parve a più d’uno un tentativo smaccato e poco elegante di mettere il proprio cappello sulla testa della nuova arrivata. Oggi però, dopo le “pansane” di Pansa su Il Riformista, dobbiamo porci una domanda: come cavolo poteva Pansa sperticarsi in laudi, rassicurazioni e garanzie verso il nuovo direttore se – stando a quanto lui stesso afferma – già sapeva che quanto da questi appena detto non era farina del proprio sacco, ma del sacco di “un fantasma”? Ammesso e non concesso che la storia del fantasma fosse vera, il silenzio di Pansa non equivaleva a esserne complice?

Ah, i misteri poco gloriosi delle grandi firme….. Che un asino a leone morente possa diventare così coraggioso da sferrargli un ormai inutile calcio lo avevo appreso da ragazzo a scuola da una favola antica. Ma che potesse prendere coraggio e sferrare calci a leone seppellito, anzi cremato, beh, questo non lo avevo ancora letto da nessuna parte. Pansa però non mi ha deluso più di tanto.

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