ORDINE/Una legge per frenare l’’accesso alla professione

Ivo Caizzi, sul Corriere Economia di lunedì 9 gennaio 2006, ha scritto questo
articolo di critica alla nuova legge che prevede la laurea per chi voglia
esercitare la professione giornalistica.

Caizzi fornisce un quadro preciso e chiaro della funzione di un organismo
che esiste solo in Italia.

Senza Bavaglio sin dalla sua nascita ritiene che vada aperto un dibattito
sulla funzione dell’Ordine dei Giornalisti, un organismo che per molti non
ha più alcuna ragione di esistere.

s.b.

dal Corriere della Sera
Ivo Caizzi
Bruxelles, 9 gennaio 2006

Il governo di centrodestra avrebbe dovuto liberalizzarlo. Invece ora si apprende che intende rendere ancora più difficile l’ accesso alla professione giornalistica, accogliendo così le pressioni dell’Ordine corporativo di questa categoria, impegnato tradizionalmente a frenare l’ingresso nei lavori dell’ informazione (e di fatto a proteggere la “rendita di posizione” dei propri iscritti).

Il ministro dell’ Istruzione, Letizia Moratti di Forza Italia, e il suo sottosegretario, Maria Grazia Siliquini di An, appoggiate dal ministro della Giustizia, Roberto Castelli della Lega Nord, puntano a imporre a chi vorrebbe esercitare la libertà di stampa come professione addirittura uno sbarramento di almeno cinque anni di formazione. Questa restrizione non è prevista nei principali Paesi civili e taglierebbe fuori i giovani non in grado di pagarsi un corso di studi lungo e costoso, generando una odiosa discriminazione.

L’ iniziativa del governo Berlusconi sembra destinata a peggiorare l’immagine dell’ Italia nell’Unione Europea e a incrementare il contenzioso comunitario sulle distorsioni nazionali ai principi della libera concorrenza e del mercato interno. Innanzitutto perché a Bruxelles hanno già messo sotto accusa i privilegi degli ordini italiani e, in particolare, la leggina usata da quello dei giornalisti per frenare l’ accesso alle professioni dell’informazione (imponendo uno sbarramento di un paio di anni e altre restrizioni protezionistiche).

Ma anche perché Moratti, Castelli e Siliquini sembrano aver equiparato alle professioni regolamentate anche l’ esercizio della libertà di stampa comelavoro, che invece è aperto a tutti nell’ Ue e nei Paesi civili (dove non esiste l’ Ordine dei giornalisti, che è un’ anomalia solo italiana).

Moratti e Castelli si sono assunti la principale responsabilità politica di un provvedimento in grado di colpire ulteriormente la libertà d’informazione in Italia (già precaria, secondo varie classifiche internazionali).

Il ruolo operativo in questa potenziale discriminazione ai danni dei cittadini meno abbienti sembra spettare alla Siliquini, semisconosciuta al grosso pubblico e notissima tra i lobbisti degli Ordini per il suo attivismo nella tutela dei privilegi corporativi. Il sottosegretario di An è iscritta a un ordine (avvocati), come i tanti altri parlamentari che costituiscono la lobby trasversale da sempre impegnata a bloccare in Parlamento i tentativi di liberalizzare le professioni. Una lobby che genera un evidente conflitto
d’ interessi, scontato dagli italiani pagando di più i servizi professionali rispetto ad altri Stati Ue e ritardando l’ ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

Nell’Ordine dei giornalisti hanno giustificato lo sbarramento quinquennale (tre anni di laurea più due di specializzazione), con l’ obiettivo di togliere agli editori il potere di decidere chi deve fare il giornalista. Ritengono che passerebbe alle università e alle scuole di formazione
approvate dallo stesso Ordine.

In realtà gli editori continuerebbero sempre a decidere chi far lavorare e chi no. Avrebbero solo molto meno scelta, potendo assumere esclusivamente tra i vecchi iscritti all’Ordine o tra i giovani che possono pagarsi un quinquennio di costosa formazione.

In più si sospetta che le nuove restrizioni dello sbarramento quinquennale siano scaturite da un patteggiamento tra alcuni “baroni universitari” (interessati a rendere obbligatori i corsi dei propri atenei), l’ Ordine e la Siliquini, trascurando che otto milioni di italiani avevano chiesto l’ abolizione delle restrizioni dell’ Ordine dei giornalisti in un referendum (che non raggiunse il quorum).

Si aprirebbe poi il dubbio di possibili conflitti d’ interessi qualora fosse confermato che alcuni notabili della corporazione dei giornalisti, poco attivi sugli organi d’ informazione, siano davvero ansiosi di ottenere incarichi di insegnamento nelle università.

Già ora tutta da valutare sul piano dell’ opportunità appare la posizione del presidente dell’ Ordine dei giornalisti della Lombardia, Franco Abruzzo, che si è battuto dalla parte degli atenei interessati a rendere obbligatori i corsi, pur essendo contemporaneamente “docente a contratto” presso le università Milano Bicocca e Iulm.

Ivo Caizzi

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