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Contiene osservazoni interessanti.
Senza Bavaglio
Chiara Roverotto
Vicenza, 31 maggio 2023
La libertà di stampa è sancita dalla Costituzione, riaffermata dal Codice di legislazione giornalistica e sottesa all’interno di uno Stato democratico. Ma quanto siamo liberi di informare?
Quanto la classe giornalistica di questo Paese è cresciuta, si è formata, è stata in grado di passare il testimone, attestandosi su valori di libertà e indipendenza? Poco. E non solo per quanto e come, il settore editoriale sconti una profonda crisi, ma perché nemmeno i giornalisti sono scevri dalla mancanza di responsabilità.
Anche loro hanno sulle spalle la crisi culturale di questo Paese. Quella ambientale, politica e, soprattutto, etica e sociale.
Per quale motivo dovremmo chiamarci fuori? È troppo tardi. Facciamo parte di una comunità, di un Paese in cui molto è mutato e non siamo riusciti a comunicarlo con forza, determinazione, chiarezza. E non perché meno persone leggono i giornali, semplicemente non siamo riusciti a crescere.
Siamo sempre stati una sorta di casta inattaccabile, ora ci ritroviamo confinati nelle ultime posizioni di una graduatoria stilata sulla base del merito e dell’autorevolezza.
LA CRISI
Certo, il settore sta vivendo una crisi strutturale senza precedenti, con editori sempre più impegnati – come manager di un’azienda – a far quadrare conti e bilanci e, quindi, ad assottigliare redazioni. Spesso senza pensare che l’informazione rappresenta la somma anche di altro; i social media hanno fatto la loro parte con gli algoritmi, ma noi non siamo riusciti a migliorare all’interno di una società sempre più spaccata e litigiosa.
L’abbiamo raccontata male, in ritardo e spesso non ne siamo stati all’altezza. Siamo stati imbarazzanti. E, poi in una situazione così complessa, Ordine e Sindacato non hanno saputo evolversi, pensare e progredire. No, tutti chiusi nelle retrovie in attesa di tempi migliori, diversi, di congiunture differenti. Ma il tempo giusto per recuperare non arriverà mai.
IL CASO LUCIA ANNUNZIATA
Allora non stupiamoci se Lucia Annunciata si dimette dalla Rai “perché non condivido più nulla di quello che fa questo Governo”. Il punto non è questo. Un giornalista non deve condividere quello che decide un Governo, ma deve protestare e denunciare quando, l’esecutivo in carica impedisce a qualcuno di scrivere, parlare, intervistare. Mantenere un format che ha sempre avuto un seguito.
Ecco l’errore in cui siamo caduti, i giornalisti non devono essere graditi a un governo di centrodestra oppure di centrosinistra, devono lavorare, spiegare, instillare dubbi, approfondire e molto altro.
Siamo venuti meno a tutto questo e, adesso, non stupiamoci della lottizzazione della Rai c’è sempre stata, e ci saranno sempre colleghi capaci di navigare in qualunque direzione li porti il vento.
Però, accanto a loro, ci sono anche professionisti che navigano sempre più spesso con tempeste contrarie e vanno avanti a testa bassa e facendo parlare i fatti, le inchieste, i reportage dal mondo. Tentando di puntare sull’ informazione, laddove possono. Ecco, se anche questi abdicheranno, il giornalismo sarà davvero finito.
LE RESPONSABILITÀ
Ma, attenzione, siamo tutti responsabili, questo deve essere chiaro. Non siamo riusciti a sovrastare un sistema, non abbiamo trovato la strada per raccontare, ci siamo piegati alla commistione tra fatti e pubblicità. Tra news e sfilate di pseudo esperti. Tra veline e notizie.
È arrivato il momento in cui anche i giornalisti si prendano le loro responsabilità e forse dalla consapevolezza può nascere qualcosa di buono. I nostri “padri “non sono stati così tanto bravi nel lasciarci una libertà di stampa migliore rispetto a quella che hanno trovato, ma noi siamo destinati a lasciare solo macerie.
Vogliamo ricordare che il nostro contatto di lavoro è scaduto da dieci anni? Che ci sono colleghi che vengono pagati una miseria come, purtroppo, in molti altri settori? Vogliamo parlare dell’ultimo congresso della Fnsi? Vogliamo soffermarci sull’Usigrai (sindacato della Rai) al centro di uno scandalo che non ha precedenti: la sottrazione di una una discreta quantità di denaro dalle casse.
LA PREMIER E I GIORNALISTI DA RICORDARE
Vogliamo accennare alla premier Giorgia Meloni che ha elogiato il lavoro dei giornalisti di guerra e ne ha ricordato uno: Almerigo Grilz, triestino inviato di guerra indipendente, morto il 19 maggio del 1987 in Mozambico. Ebbene, lo stesso collega è stato ricordato dai “camerati” con gli onori e il saluto romano nei giorni scorsi per commemorate l’anniversario dei 70 anni dalla nascita.
Come chiamiamo tutto questo? Un esecutivo dovrebbe ricordare tutti i giornalisti morti raccontando la guerra, altrimenti fa una scelta di parte e come sempre divisiva.
E che dire di quanto detto dalla premier a Catania? ”Non leggo i giornali, non mi soffermo sulle polemiche. Anche se alcune le trovo molto divertenti tipo quella sulla Rai”.
NON BASTA PIÙ IL PRESIDENTE MATTARELLA
Ora, non basta più il presidente Mattarella che interviene ricordando Manzoni sostenendo che etnie e razze non esistono, servono altre coscienze, libere e pensanti. Servono esperienza, capacità, impegno. Idee, principi ai quali credere affinché il giornalismo torni a tutelare il pluralismo.
Perché se anche scriviamo a tutela della legalità e della libertà, se ne accorgono in pochi. L’opinione pubblica è tutta la riconquistare.
Chiara Roverotto
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