Quando il potere conta più del futuro dei giornalisti di Grazia

Solo se verrete a votare in massa di può ribaltare la maggioranza di un sindacato che a livello nazionale e locale è costantemente più vicina (molto più vicina) agli editori che ai giornalisti

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Milano, 3 dicembre 2022

La speranza è l’ultima a morire, ma immaginare di ribaltare il panorama del sindacato unico dei giornalisti appare una missione prossima all’impossibile. Ci possiamo riuscire solo se votate in massa per il sindacato Un sindacato che è un’anomalia tutta nostra:  impedisce ai giornalisti di farsi rappresentare in sede sindacale da chi si ritiene più affidabile. Tutto viene lasciato nelle mani di un sindacato unico, dove la maggioranza mantiene il suo ruolo, senza avere fatto nulla per meritare questo beneficio perpetuo.

Già si possono immaginare i risultati elettorali che confermeranno, grazie anche ad affluenze sempre minime, i soliti nomi e la consueta carenza di idee e di strategie. Ma la situazione si può ribaltare solo se verrete in tanti a votare. Forza!

Non ci sarebbe nulla di male nel non cambiare la squadra che vince.  Ma il punto sta proprio qui, di quali vittorie si può fregiare la maggioranza di un sindacato che a livello nazionale e locale è costantemente più vicina (molto più vicina) agli editori che ai giornalisti?

Per cambiare servirebbe la consapevolezza che le varie crisi affrontate fino a oggi non dovevano necessariamente concludersi con sconfitte su tutti i fronti. Ma questa consapevolezza manca, ci sono sempre i voti di chi, non per merito del sindacato, ha salvato temporaneamente il posto di lavoro, anche se a costo di un sensibile taglio della retribuzione.

Come hanno votato a Grazia?

La tattica non cambia: si sceglie sempre il male minore, come dire sacrificarne 5 per salvarne 10.

Sarebbe interessante entrare nelle urne e scoprire, per esempio, come si stanno esprimendo i colleghi di Grazia. Innanzitutto bisognerebbe scoprire quanti hanno votato, o hanno intenzione di votare, e in quanti confermeranno la fiducia ai soliti noti.

Quei noti che stanno facendo passare il messaggio che l’imminente cessione della storica testata, nata nel 1938, sia un affare per la redazione. Si arriva addirittura a mostrare invidia per chi a breve affronterà la nuova avventura, da parte di chi dovrà suo malgrado mantenere ancora una volta il suo posto in una Mondadori che ormai ha buttato nella spazzatura la sua storia e si affida a due sole testate superstiti.

Un CdR che tace

Dopo l’annuncio del 20 ottobre, il 20 novembre è stata confermata la cessione di Grazia (e di Icon) al Gruppo francese Reworld Media. Il CdR tace mostrando sicurezza, mentre la redazione è terrorizzata, ma nessuno ne parla. In fondo basterà aspettare qualche settimana e tutto sarà definito secondo i programmi delle proprietà, senza interferenze.

Manca solo la formalità del Consiglio dei Ministri, poi i rami d’azienda delle due testate confluiranno in una nuova società, giusto il tempo necessario per cedere il 100 per cento del contenuto della nuova azienda a Reworld Media.

A maggio 2018, in una situazione simile il CdR aveva spinto i giornalisti a opporsi al trasferimento di Confidenze e Tustyle a European Network, la società del croato Andelko Aleksic, ottenendo l’annullamento della trattativa in cambio di un taglio medio degli stipendi del 30 per cento dei lavoratori che sarebbero rimasti a Segrate.

In realtà non a lungo, perché quell’autoriduzione è stata l’anticamera verso il passaggio alla società di Maurizio Belpietro pochi mesi più tardi. Analizzata oggi quell’operazione lascia il ragionevole dubbio che il nome dell’editore croato sia stato utilizzato ad arte per convincere (con il supporto del sindacato che l’ha indicata come l’unica strada percorribile) i lavoratori a operare di loro volontà una sensibile riduzione dello stipendio senza alcuna contrattazione. Rendendo di conseguenza economicamente più agevole il travaso di quelle e di altre riviste verso le società Stile Italia e Panorama di Belpietro.

Le disastrose avventure di Mondadori

Ma perché European Network ieri era il diavolo, mentre Reworld Media è oggi il salvatore della patria? Perché l’accordo prevede una transazione di 8,5 milioni di euro dalla Francia all’Italia? Non è certo una motivazione valida, e non solo per il fatto che il bonifico sarà di 6,5 milioni, visto che i rimanenti due milioni sono condizionati ai risultati economici di Grazia e Icon nel 2023, tutti da definire.

Quello che non si considera in questa vicenda è che Reworld non è altro che un pezzo di una tra le più disastrose avventure intraprese da Mondadori dalla sua fondazione a oggi.

Ci riferiamo naturalmente all’operazione Mondadori France, nella quale ha avuto un ruolo fondamentale l’ex AD Ernesto Mauri, per il quale quella campagna era valsa nientemeno che l’onorificenza di Chevalier dans l’ordre des Arts et des Lettres, che suona un po’ come il Direttor Gran Lup Mann e via dicendo di fantozziana memoria.

Giusto per riassumere in poche righe l’azione espansiva verso occidente dei geniali manager di Segrate, il 30 agosto 2006 Mondadori annunciava al mondo finanziario di avere perfezionato l’accordo per l’acquisizione di Emap France, all’epoca terzo editore di magazine transalpino, per un corrispettivo di 551 milioni di euro.

Si parlò di sinergie, di lanci di nuove testate, della nascita di un colosso editoriale a livello europeo da 2 miliardi di euro, ma si trattava solo di parole, perché c’erano i soldi ma mancavano una strategia e una visione editoriale a livello internazionale (una carenza strutturale che qualche anno più tardi sarebbe risultata esplicita anche sul mercato interno).

Tredici anni dopo

Tredici anni più tardi, a luglio 2019, è stata annunciata con la medesima enfasi la vendita di Mondadori France a un prezzo di 70 milioni di euro alla società Reworld Media di Pascal Chevalier, che ora pagherà 6,5 milioni per diventare il titolare non solo della testata, ma dell’intero sistema Grazia.

Una perdita di valore prossima al mezzo miliardo di euro, che non è stata attribuita all’imperizia dei manager, ma che andava in qualche modo resa meno impattante. E i giornalisti sanno bene come.

Pensare che dopo tante rottamazioni gratuite e sponsorizzate, a beneficio di Daniela Santanché prima e Maurizio Belpietro in tempi più recenti, si valorizzi oggi il capitale della redazione non è del tutto corretto. Bisogna infatti considerare che 12,6 milioni dei 70 arrivati a Segrate sono ritornati nelle casse di Reworld pochi mesi più tardi sotto forma di un aumento di capitale previsto dagli accordi sottoscritti. In parole povere, Mondadori aveva già pagato in anticipo e con gli interessi la cessione dello storico settimanale di moda.

Quello che il nostro sindacato non considera è il modo in cui dal 2012 a oggi Chevalier è diventato il più grande editore francese in termini di fatturato e di testate gestite, 62. Lo ha fatto calpestando il giornalismo. E si dimentica che a Parigi si era cercato in tutti i modi di evitare la confluenza di Mondadori France in Reworld. Si erano moltiplicate le proteste e le manifestazioni di solidarietà, e una volta andata in porto l’operazione 190 dei 330 giornalisti si sono dimessi prima del trasferimento in una realtà nella quale la professionalità non rappresenta un elemento di merito.

Squadra perdente vince

C’è poi un altro elemento che preoccupa e che dovrebbe essere perlomeno chiarito prima che sia troppo tardi. Se da noi Grazia è un settimanale, in Francia è ormai un trimestrale confezionato con contenuti che arrivano quasi esclusivamente dagli inserzionisti. Si dimentica forse che nel pieno dell’emergenza covid le pubblicazioni sono state interrotte anche in Italia, e tra le cause di questa scelta si parlò anche della possibilità di ipotizzare un cambio di periodicità.

Con la variabile dei costi della carta e con la certezza che la formula dei quattro numeri l’anno con un costo redazionale prossimo allo zero, quali garanzie può offrire il futuro alla trentina di dipendenti in uscita? Ma mentre il povero Arnoldo Mondadori non avrà pace vedendo nelle mani di chi è finita la sua azienda, il sindacato incasserà una nuova “vittoria” per avere momentaneamente salvato ancora qualche posto di lavoro. Ancora una volta avrà vinto il male minore e la squadra più perdente della storia potrà rimanere, orgogliosamente, al suo posto.

Valerio Boni
valeboni2302@gmail.com
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