da Professione Reporter
Fabio Morabito
Roma, 26 giugno 2021
Fondato nel 1926 durante il fascismo, primo presidente Arnaldo Mussolini, l’Inpgi (Istituto nazionale previdenza giornalisti) dopo aver attraversato anni floridi, con un importante patrimonio soprattutto immobiliare, sembra destinato all’azzeramento delle sue risorse prima di compiere cento anni di età. Un anniversario la cui celebrazione ora appare improbabile.
Da dieci anni le uscite per pagare le pensioni sono superiori alle entrate per contributi. Da quattro anni il bilancio è in rosso, un’evidenza che è stata rinviata da un’operazione di rivalutazione degli immobili proprietà dell’Istituto, i cui effetti sono stati spalmati in più anni. In un decennio i pensionati sono aumentati di oltre il 30 per cento (ora sono 9.600, rispetto a circa 14.500 iscritti “attivi”). I giornalisti con contratto da dipendente sono diminuiti – soprattutto, ma non solo, per la crisi dell’editoria – del 20per cento.
Le pensioni sono calibrate su stipendi che erano mediamente molto più elevati degli attuali. Il raffreddamento degli scatti d’anzianità (contratto Fieg-Fnsi del 2009) ha rallentato brutalmente la crescita delle retribuzioni. Gli stipendi dei giornalisti attivi sono poi fermi al contratto del 2014, nessun aumento da allora.
FAMIGERATI PREPENSIONAMENTI
Nel frattempo, nell’arco di dodici anni sono andati in pensione anticipata un migliaio di colleghi, soprattutto per i famigerati prepensionamenti finanziati dallo Stato. Contributi che sono diventati pensioni. Voci in attivo che si sono trasformate in passivo. Carriere che sono finite a carico dell’Inpgi fino a nove anni prima dell’attuale età di pensionamento (ora i limiti di età sono stati alzati, ma fino al 2017 era sufficiente avere 58 anni per essere pre-pensionati). Nel bilancio di assestamento 2020 le pensioni incidono per 547 milioni, i contributi per 357; 190 milioni la differenza, ma il rosso del bilancio sale a 242.
Nel frattempo, la contribuzione – che era molto più favorevole di quella dell’Inps – è stata innalzata ai livelli dell’istituto pubblico quando presidente era Andrea Camporese. L’ultima riforma (la sesta dal 1998 ad oggi) è stata approvata a maggioranza dal Cda del 23 giugno, che si è protratto per circa dieci ore. Non è operativa: ci vorrà il via libera dei ministeri vigilanti (Lavoro ed Economia). Il punto centrale (e più controverso, e più remunerativo per la casse dell’Ente) è il prelievo per cinque anni dell’1 per cento degli stipendi e delle pensioni. Circa novecento firme per diffidare il Cda sono arrivate all’Istituto già alla vigilia del Consiglio d’amministrazione.
Non poche, considerando che l’iniziativa ha preso il via appena un giorno e mezzo prima. Una raccolta di firme in via telematica coordinata da un gruppo di pensionati, che hanno diffidato il Cda dal prendere le annunciate decisioni in quanto considerate illegittime.
RIDUZIONE DEL CUMULO
Il prelievo dai pensionati sarebbe a fondo perduto, quello ai giornalisti attivi andrebbe ad accrescere la contribuzione individuale. In tutto l’operazione frutterebbe 15,5 milioni di euro all’anno, cui si aggiungerebbero altri 4 milioni da diverse misure che smantellerebbero alcune condizioni più favorevoli che l’Inpgi conserva rispetto alla previdenza generale.
Abolite – salvando quelle in essere – alcune prestazioni facoltative e cioè gli assegni di superinvalidità, i ricoveri in casa di riposo, i sussidi: per quest’ultima voce, che rappresenta assegni di sostegno a colleghi in grave difficoltà, il risparmio sarebbe di 28 mila euro. Poi riduzione del cumulo già previsto tra pensione di anzianità o da prepensionamento e reddito (per chi ha una pensione almeno di 38 mila euro): si scende da 22.514 a 5.000 euro. È prevista una riduzione in percentuale delle pensioni di anzianità prima dei requisiti Inps. Poi, riduzione del 5 per cento dei costi della struttura.
MISURA STRAORDINARIA
Si tratta di una serie di misure che l’opposizione in Inpgi considera inique e inutili (il risparmio coprirebbe meno di un decimo del passivo). I pensionati firmatari ricordano come la sentenza del Consiglio di Stato che ha dato ragione all’Ente sul ricorso contro il precedente prelievo (triennale, e a percentuale crescente) aveva definito il prelievo stesso misura straordinaria che non si sarebbe più potuta ripetere. “La stragrande maggioranza dei pensionati- ricorda Pierluigi Franz, Sindaco all’Inpgi – ha già subito negli ultimi 10 anni tagli della pensione sotto forma di contributi straordinari e di blocco della perequazione che ha consentito all’Inpgi 1 di poter risparmiare complessivamente circa 65 milioni di euro”.
I giornalisti attivi si vedono accollare un 1 per cento di trattenuta in più, quando già pagano più contributi degli iscritti all’Inps. Senza contare che i nuovi assunti pagano il fondo ex fissa dei pensionati, il totale della contribuzione sfiora il 40 per cento. A carico del lavoratore ci sono già il 9,19 per cento, più l’1 per cento di eventuale aliquota aggiuntiva ex legge 438/1992, più lo 0,1 per cento per gli ammortizzatori sociali, più 5 euro prelevati ogni mese per la perequazione delle pensioni.
Cinque euro ogni stipendio, destinati alle pensioni più povere, dove però ora transiterebbero soltanto, perché il prelievo dell’1 per cento è esteso a tutte.
DERBY DI SACRIFICI
Un comunicato della maggioranza, alla vigilia dell’incontro, definisce i promotori delle diffide “gli irresponsabili della categoria”, colpevoli di “mistificazione palese” e di voler “ribaltare gli organismi democraticamente eletti”. C’è nervosismo, anche se il maggior solco è tra pensionati e dipendenti in attività, perché questo derby di sacrifici sta dividendo la categoria in due fazioni, ognuna con le sue rimostranze e le sue buone ragioni. Nella precedente versione di prelievo sulle pensioni i giornalisti ricorrenti hanno perduto la causa, ma l’Inpgi ha pagato di sola parcella al suo avvocato 80mila euro.
Da un punto di vista, la maggioranza ha preso delle misure impopolari, cercando di salvare alcuni capitoli di spesa (come le condizioni ancora più favorevoli per reversibilità e disoccupazione) e l’opposizione sembra limitarsi a dire dei “no”. Ma il punto, e questo non sembra chiaro a nessuno, non è se le misure prese siano più o meno corrette, ma che ormai la dirigenza dell’Inpgi si è mossa fuori tempo massimo.
PLATEA CONTRIBUTIVA
Infatti gli interventi proposti rispondevano a una richiesta di legge di due anni fa, quella che stabiliva l’allargamento della platea contributiva. Non era specificato allargata a chi, ma è cosa nota che il riferimento implicito riguardasse i “comunicatori”. Sono loro che sarebbero stati trasferiti dall’Inps all’Inpgi, per una qualche contiguità della professione.
Si trattava dell’unica strada percorribile secondo per la Presidente dell’Inpgi Marina Macelloni che, verso la fine del suo primo mandato, era riuscita a compattare il CdA. Questa legge però dava, dal 20 giugno del 2019, 12 mesi di tempo per adottare “misure di riforma del proprio regime previdenziale volte al riequilibrio finanziario (…) che intervengano in via prioritaria sul contenimento della spesa e, in subordine, sull’incremento delle entrate contributive, finalizzate ad assicurare la sostenibilità economico-finanziaria nel medio e lungo periodo”.
Dodici mesi, non due anni. Il CdA dell’Inpgi, nel luglio di 2019, convocò una conferenza stampa nella sede dell’istituto, preannunciando di volersi mettere subito al lavoro.
COMMISSARIAMENTO ANNUNCIATO
Nel frattempo, si è continuato a chiedere di far entrare i comunicatori (o meglio: i loro contributi) in anticipo rispetto alla data prevista, il primo gennaio 2023. Da una parte ci si muove in ritardo, dall’altra si chiede di anticipare. Si riesce così a rinviare di sei mesi in sei mesi il preannunciato commissariamento fino alla fine di questo mese di giugno.
Con un emendamento alla Camera, il deputato del PD Filippo Sensi, giornalista (era stato il portavoce, a Palazzo Chigi, di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni) fa da sponda a un’ulteriore proroga, in considerazione che ad ottobre si dovrà discutere della riforma degli ammortizzatori sociali.
Ma è evidente che si stava già lavorando a una soluzione diversa rispetto a questa “strada unica”. Peraltro alcune associazioni dei comunicatori avevano già detto chiaramente di non voler entrare in un’istituto in difficoltà. I sindacati nazionali sono stati mobilitati per respingere il progetto. E il 23 giugno, nonostante l’appuntamento fosse il più importante degli ultimi anni, al CdA dell’Inpgi il rappresentante di Palazzo Chigi non si è presentato.
La presidente Marina Macelloni non ha mai espresso dubbi, sostenendo che “l’Inps non ci vuole” e che l’unica strada era l’ampliamento della platea contributiva.
DIFFICOLTA’ STRUTTURALI
Eppure il 24 giugno, un giorno dopo il CdA dell’Inpgi, il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, in audizione alla Camera (che riportiamo quei sotto), dà una versione diversa. Negli ultimi due minuti di un’ora e 20 di confronto con la Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, risponde a una domanda proprio sull’Inpgi per avvertire: “Noi saremmo in grado di assorbire un istituto relativamente più piccolo di quelli che abbiamo assorbito in passato”. Premettendo: “I numeri sono quelli noti. Le difficoltà dell’Inpgi sono strutturali. Quello che non vorrei che succedesse è di trasferire ulteriori lavoratori, siano comunicatori o altro tipo di contribuenti. Spostarli dall’Inps verso l’Inpgi non è la soluzione”. Tridico continua: “Noi saremmo disponibili” e avverte: “C’è un’interlocuzione in corso”.
Tridico conosce la suscettibilità dei rappresentanti dei giornalisti, e precisa: “Non vogliamo interferire in un settore così delicato come quello dei media, che ha giustamente la sua autonomia”.
150 MILIONI L’ANNO
La reazione a via Nizza, sede dell’Inpgi, è dura. Tridico, sostiene Macelloni “fa di tutto per sabotare ogni possibile soluzione strutturale alla situazione di grave crisi dell’Inpgi”. Aggiungendo che le proiezioni attuariali fatte elaborare dall’ente confermano che “l’unica soluzione strutturale” è l’ingresso di nuovi contribuenti. “Soluzione tra l’altro che non prevederebbe nessun onere diretto a carico dello Stato”.
A parte il fatto che le proiezioni attuariali dell’Inpgi fino ad ora non hanno dato buona prova di sé, il passaggio dei comunicatori prevede un onere dello Stato, benché “indiretto”. C’è già l’impegno a rimborsare l’Inps dei mancati versamenti per alcuni anni, al ritmo di circa 150 milioni l’anno.
Macelloni conclude di non saper nulla dell’interlocuzione di cui parla Tridico, e di non essere stata interpellata. Il che può porre dubbi sulla sua autorevolezza. Nel frattempo si indigna anche il segretario della Fnsi, il sindacato unico dei giornalisti, Raffaele Lorusso, che definisce le dichiarazioni di Tridico di “inaudita gravità, perché rappresentano una chiara ingerenza nell’attività dell’Inpgi”. Lorusso aggiunge che Tridico “oltre che il patrimonio dell’Istituto, ha messo nel mirino la professione giornalistica, che da più parti si punta a indebolire, fino a renderla insignificante”.
La sopravvivenza dell’Inpgi è interesse di diversi soggetti in campo. Degli editori, che a lungo hanno goduto del beneficio di versamenti ridotti, e che con l’Inpgi si sono trovati bene nella gestione degli Stati di crisi. Del sindacato, che dall’Inpgi riceve quasi due milioni e mezzo come rimborso per servizi resi. Degli amministratori, ben compensati (e il Cda ha 18 componenti, Cda dell’Inps cinque).
Resta solo da capire qual è l’interesse dei giornalisti.
Fabio Morabito
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