Freedom of the press: oggi il processo in UK “No” all’estradizione di Assange negli USA

Speciale per Senza Bavaglio
Elisabetta Crisponi
7 settembre 2020

Oggi riprenderà il processo per l’estradizione di Julian Assange, giornalista e attivista australiano, cofondatore dell’organizzazione divulgativa WikiLeaks. Il tribunale valuterà la richiesta dell’amministrazione Trump sull’estradizione di Assange negli Stati Uniti, dove rischia una condanna fino a 175 anni, per aver pubblicato materiali che documentano possibili crimini di guerra commessi dalle forze armate statunitensi.

Secondo Amnesty International, le autorità statunitensi devono ritirare tutte le accuse relative alle attività editoriali dell’imputato, e al contempo le autorità britanniche devono respingere la richiesta di estradizione statunitense. “Questa udienza è l’ultimo preoccupante episodio di un attacco su vasta scala al diritto e alla libertà di espressione. Se Julian Assange venisse perseguito, questo potrebbe avere un effetto agghiacciante sulla libertà dei media, portando editori e giornalisti ad autocensurarsi per paura di ritorsioni”, ha dichiarato Nils Muižnieks, direttore per l’Europa di Amnesty International.

“L’estradizione di Julian Assange – ha poi continuato Muižnieks – avrebbe implicazioni di vasta portata sui diritti umani, creando un precedente spaventoso per la protezione di coloro che pubblicano informazioni riservate nell’interesse comune”.

WikiLeaks simbolo della libertà dei media

La pubblicazione di tali notizie su WikiLeaks è una pietra angolare della libertà dei media e del diritto del pubblico di accedere alle informazioni di comune interesse, e deve essere protetta piuttosto che criminalizzata. Negli Stati Uniti, il giornalista potrebbe essere processato con 18 accuse, 17 delle quali ai sensi dell’Espionage Act; e uno ai sensi del Computer Fraud and Abuse Act. Dovrebbe anche affrontare un rischio reale di gravi violazioni dei diritti umani, comprese le condizioni di detenzione, che potrebbero equivalere a tortura o altri maltrattamenti, come l’isolamento prolungato.

Julian Assange è il primo editore ad affrontare le accuse ai sensi dell’Espionage Act. Il fatto che Assange sia stato l’obiettivo di una campagna pubblica denigratoria da parte di alti funzionari statunitensi, mina il suo diritto alla presunzione di innocenza, e gli fa rischiare un processo ingiusto. “Il Regno Unito (dove si tiene il processo, ndr) deve rispettare i suoi obblighi ai sensi delle norme internazionali sui diritti umani, che proibisce il trasferimento di persone in un altro Paese, dove potrebbero subire gravi violazioni dei propri diritti”, ha sostenuto ancora Muižnieks.

Amnesty seguirà il processo

Amnesty International seguirà il processo con propri osservatori, per monitorare a distanza l’intera serie di udienze. Durante la prima settimana, sarà Sebastian Elgueta, un avvocato con sede nel Regno Unito, a seguire il processo.  L’organizzazione per la difesa dei diritti umani è preoccupata anche per il benessere fisico e mentale di Julian Assange. Le condizioni nelle carceri del Regno Unito sono inferiori alla media. È necessario che vengano messi in atto protocolli di salute e sicurezza per ridurre il rischio di infezione da COVID-19, garantendo i diritti dei detenuti.

Se, come abbiamo detto, Assange è il primo editore a rispondere di questi reati, la controversa questione delle “Carte del Pentagono” del 1971, costituisce il precedente del caso “WikiLeaks”. Infatti, propone con un quarantennio di anticipo le problematiche innescate dalla rilevazione di documenti coperti da segreto di Stato: la riservatezza del materiale sull’attività di governo, il diritto dei cittadini alla conoscenza, la punizione dei responsabili della fuga di notizie e le risposte dell’opinione pubblica.

Assange ha un predecessore

Il “predecessore” di Assange è l’attivista  Daniel Ellsberg. In seguito al suo servizio militare nella guerra in Vietnam, divenne oppositore del conflitto per i danni arrecati alla popolazione civile. Dall’ottobre del 1969,  cominciò a fotocopiare dei documenti commissionati da McNamara nel 1967, un dossier di 7000 pagine, coperto da segreto di Stato, riguardo le strategie del governo americano in Vietnam.

Nel 1971 consegnò questo materiale al The New York Times sotto il nome di Pentagon Papers. Questa pubblicazione portò ad un’ingiunzione richiesta dal presidente Nixon, per bloccarne la diffusione. Ma anche il The Washington Post cominciò a riportare i contenuti del documento e la vicenda finì in Corte Suprema, dove l’ingiunzione venne bloccata in favore della libertà di stampa.

Senza Bavaglio si associa alla protesta

L’11 maggio 1973 Ellsberg venne scagionato insieme al coimputato Russo, dopo un clamoroso colpo di scena sulle illegalità commesse dagli organi statali. In seguito allo scoppio dello scandalo WikiLeaks, nel 2010,  Ellsberg si è schierato a sostegno di Julian Assange.

Senza Bavaglio si associa alla protesta perchè Julian Assange non venga estradato negli Stati Unti. L’Europa deve difendere i suoi principi basilari, tra cui la libertà di stampa. Il processo al fondatore di WikiLeaks è semplicemente un obrobrio giuridico. I giudici britannici rispondano No alle richieste di Donald Trump. E i giornalisti italiani si associno a questa sacrosanta protesta.

Elisabetta Crisponi

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