Da List
Marco Patricelli
Praga, 16 giugno 2020
Mesdames et messieurs, giù il cappello di fronte a Emmanuel Macron. Il presidente della Repubblica francese stavolta non le ha mandate a dire: “La Francia è ferma nel condannare il razzismo ma non cancellerà la sua storia, né abbatterà statue e monumenti”. Forte e chiaro in diretta tv e doccia gelata sulle febbri della caccia al personaggio storico da gettare giù dal piedistallo nel tripudio di folla perché cento, duecento, trecento anni fa non solo non marciava contro il razzismo ma addirittura lo era, persino inconsapevolmente, perché così andava il mondo.
Un mondo che non è mai stato perfetto, né allora né oggi, anche se oggi anche per presa di coscienza è probabilmente migliore di quello di allora. La storia coloniale della Francia, però, è la storia della Francia, quindi inutile starci a girare attorno. Parola di presidente, non si toccano né si cancellano le tracce del passato. La presa di posizione è arrivata netta di fronte all’ipotesi sollevata dall’ex premier Jean-Marc Ayrault e attuale presidente della Fondazione per la memoria della schiavitù di togliere l’intitolazione di una sala a Jean-Baptiste Colbert (1619-1683), poiché a lui si deve la prima elaborazione del Code Noir (poi completato dal figlio, marchese de Seignelay).
Il Codice Nero venne promulgato nel 1685 dal re Luigi XIV e in una sessantina di articoli disciplinava la vita degli schiavi africani nelle colonie francesi; nel preambolo gli schiavi sono considerati persone senza diritti, quasi oggetti (meubles, all’art. 44), per quanto titolari di un’anima da salvare tramite battesimo, educazione e sepoltura cattolica.
A quei tempi tali considerazioni erano ampiamente diffuse e neppure il cristianesimo se ne discostava molto, considerando anche ciò che i missionari fecero con le conversioni forzate degli amerindi dallo sbarco dei conquistadores.
Può stupirsi solo chi ignora o vuole ignorare la storia, che ricorda Colbert come un grande di Francia, certamente non a caso. Dalla Francia si è irradiata nel mondo una Rivoluzione che ne ha cambiato le sorti, imponendo con la forza delle idee, delle baionette, della ghigliottina, del terrore e dei codici napoleonici, un nuovo modo di intendere la società umana e i rapporti tra le sue componenti.
Passando da un bagno di sangue in piazza e da uno sui campi di battaglia su cui il tricolore portava le idee di libertà, uguaglianza e fraternità. Se nessun pasto è gratis, come ben sanno gli economisti, nessun progresso non ha un prezzo da pagare, come dovrebbero insegnare gli storici.
La morte di George Floyd ha catalizzato rabbia e proteste in varie forme e con varie finalità, non sempre genuine, che hanno scatenato una vera e propria iconoclastia, rimettendo in discussione tutto e il contrario di tutto, secondo parametri rilanciati con slogan da chi con la storia e con i libri ha qualche difficoltà basilare di conoscenza e di comprensione. La storia, come gli uomini che la realizzano e la scrivono, è fatta di zone luminose e di zone d’ombra: se ci si abbandonasse a infiniti distinguo si cadrebbe nel ridicolo.
Macron in questa occasione si è dimostrato statista, forse come mai gli era riuscito durante un mandato in cui gli eventi li ha subiti invece di indirizzarli, e valga per tutti il movimento dei gilets jaunes. Ha scandito di essere irremovibile di fronte a razzismo, antisemitismo e discriminazioni, ma anche che i poliziotti e le forze dell’ordine, messi sotto accusa dai dimostranti, meritano invece pieno sostegno e soprattutto “la riconoscenza della nazione. Senza l’ordine repubblicano non c’è sicurezza né libertà. Essi sono esposti quotidianamente al rischio e nel nostro nome”. Niente zone franche di protesta e niente permissività ai vandalismi, alle violenze e alle aggressioni, in un Paese che non si piega a estremismi politici, strumentalizzazioni movimentiste, rigurgiti suprematisti e tentativi di snaturazione.
Il colonialismo è stato il passato di cui si paga il prezzo presente anche con l’irrisolvibilità del degrado sociale delle banlieue. Ma non a prezzo di disordini, causa e caccia alle streghe. Una volta Indro Montanelli disse che quando sentiva la frase “caccia alle streghe” lui andava a intervistarle. Già, proprio l’oggetto della rabbia di un gruppo di studenti che studiano assai poco e sicuramente male, che con orgoglio si sono persino ripresi con lo smartphone per celebrarsi come eroi sul web mentre vandalizzavano a Milano la statua a lui dedicata per lo stranoto episodio di madamato con la sposa-bambina etiope durante la guerra del 1935-1936.
Strano che non abbiamo rivolto la loro protesta a quanto accade ancora oggi in mezzo mondo in cui nessuno nell’Islam si scandalizza per la prassi delle spose-bambine, né per le mutilazioni genitali, né per lo stato di sudditanza delle donne in alcuni casi poco più che schiave del marito e delle famiglie. Ci sono tante ambasciate davanti alle quali manifestare per i diritti di tutti.
Così vanno le cose nell’Italia in cui le idee della rivoluzione le hanno portate gli eserciti transalpini, ma che è sempre sospesa tra l’essere (poche volte) e l’apparire.
L’Italia di Alberto Sordi che ride di se stessa e dei suoi difetti quasi mai cercando di correggerli, che ama più la teatralità che l’efficacia del gesto. Macron ha rivendicato che la Francia è comunque la nazione “dove chiunque, qualunque siano le sue origini e la sua religione, deve trovare il suo posto”; aggiungendo subito dopo: “Ma questo è vero dappertutto e in tutto il mondo? No”.
Eccolo, il problema. Guardiamo la pagliuzza in casa e non la trave fuori, autofustigandoci per le colpe storiche, rullando stucchevolmente sui tamburi del razzismo e del fascismo per qualsiasi bagatella, ripiegati sul passato senza conoscerlo invece che affrontare il presente che riteniamo di conoscere e scervellandosi nelle autopsie dei problemi invece che nel cercare soluzioni applicabili. Quanto alle statue e ai monumenti, restino dove sono per ricordare il passato per ciò che è stato e non ciò che vorremmo oggi. I piccioni, di qualunque razza, colore e provenienza nazionale, si posano dove vogliono, senza chiedere né il permesso né il curriculum ai personaggi.
Marco Patricelli
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