Come i nobili decaduti, Mondadori pensa di lasciare la reggia (non sua)

Palazzo Niemeyer è di proprietà delle Assicurazioni Generali e costa un paio di milioni al mese. Un’uscita pesante che assorbe un importo che può essere stimato in circa la metà dell’utile del Gruppo nel 2019

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Segrate, 11 giugno 2020

Il Covid dà, il Covid toglie. Così, dopo l’euforia per l’inaspettata doppietta portata a casa con la cassa integrazione al 40 per cento e i 200 milioni di euro che l’accettazione del provvedimento ha portato in dote, i manager Mondadori si trovano a dover fare i conti con un problema non nuovo, ma che torna prepotentemente d’attualità. Quello di una sede dai costi non più sostenibili.

Dal 1975, quando fu inaugurato, il palazzo disegnato dal brasiliano Oscar Niemeyer è diventato per tutti “palazzo Mondadori”, ma in realtà la proprietà è delle Assicurazioni Generali, che da 45 anni possono contare su un’entrata sicura di almeno un paio di milioni di euro ogni mese. La sede è indubbiamente di classe, ma la continua (e voluta con determinazione) emorragia di personale ha ormai reso insostenibile il carico pro capite per ogni dipendente. Un costo reso inesorabilmente più pesante dalle spese di manutenzione, che assorbono un importo che può essere stimato in circa la metà dell’utile del Gruppo nel 2019.

A tutto questo si sommano le difficoltà introdotte dalle misure di sanificazione necessarie per contrastare la diffusione del virus, che incideranno inesorabilmente in misura pesante sui futuri bilanci. La moquette e l’impossibilità di aerare naturalmente l’ambiente di lavoro rappresentano ostacoli non insormontabili, ma sicuramente costosi. Oltre a un pavimento che favorisce la proliferazione di acari, i piani sigillati da vetrate non apribili imporranno al ritorno dei dipendenti in ufficio un potenziamento dell’impianto di climatizzazione. Una soluzione che va nella direzione diametralmente opposta rispetto alla politica di risparmio in atto già da tempo, che chi non è abituato al microclima del palazzo avverte immediatamente.

Ecco allora che torna d’attualità un’opzione che negli ultimi trent’anni si è ciclicamente ripresentata: quella del trasferimento in una sede con costi di locazione più adeguati a un’azienda profondamente ridimensionata. Quello che serve ora è un risparmio concreto, un cambio di passo per dirla come Ernesto Mauri, visto che i mezzucci da picciotti non sono più sufficienti. Ciò non significa che Mondadori rinuncerà a imporre opzioni capestro attraverso il CdR, a non versare quanto raccolto dalle vendite in edicola ai piccoli editori che hanno scelto utilizzare la rete di distribuzione di Segrate. Inoltre è emerso anche il lato “sessantottino” dell’azienda, che ora si permette addirittura di autoridurre gli importi stabiliti dai giudici del Tribunale. Continuerà anche a vendere gli abbonamenti di testate ormai defunte, ma l’intenzione è quella di farlo in una sede meno sfarzosa.

Il primo piano di esodo risale agli anni dell’ingresso in azienda di Silvio Berlusconi, quelli della guerra con Carlo De Benedetti e degli scenografici atterraggi in elicottero nel prato di Palazzo Niemeyer. All’epoca si parlava di Lacchiarella, l’area inutilizzata (ora in totale degrado) che faceva parte del patrimonio di famiglia, che avrebbe permesso un notevole risparmio. Ma l’idea non ebbe nemmeno il tempo di essere elaborata, perché il CdR lasciò intendere che il trasferimento in un’area depressa non era in discussione. Le ultime voci risalgono invece al 2014, ma non se ne fece nulla poiché il contratto di locazione fu rinegoziato.

Tra i due estremi c’è tuttavia un episodio riuscito a metà. È quello che avrebbe dovuto portare alla nascita al polo esterno di Milano Oltre, a soli tre chilometri dalla sede, ma sufficientemente lontano per rendere possibili gestioni oltre il limite del lecito. Come è successo nel 2001, quando partì il piano per trasferire qui tutte le consociate, che in quegli anni si stavano moltiplicando. Si cominciò con quella che fu considerata una deportazione delle testate di informatica, di quelle della neonata ACI-Mondadori, che portava in dote anche Panorama Travel, la rivista Mondadori di viaggi che condivideva il direttore con le cinque in comproprietà con l’Automobile Club.

Il passo seguente prevedeva il trasferimento della redazione di Men’s Health, ma i giornalisti si ribellarono, e il piano si interruppe. Il rifiuto non era un capriccio, derivava da una serie di problematiche che andavano dall’assenza di un parcheggio custodito in un’area soggetta a frequenti furti, alla presenza di tralicci dell’alta tensione posti nella piazza al centro degli edifici. Elementi che hanno portato in dote interferenze con i monitor dei computer e sospetti effetti sulla salute. Il primo dei problemi fu risolto rimpiazzando i vecchi schermi a tubo catodico con più moderni a cristalli liquidi che lavorano su frequenze diverse, mentre si sorvolò sull’aspetto medico. E resta il dubbio che il decesso di un collega, che aveva l’ufficio nel punto più vicino ai cavi, possa essere legato all’esposizione alle onde elettromagnetiche.

Visto da fuori, il complesso di Milano Oltre si presenta come molti altri centri direzionali, ha un aspetto dignitoso, ma è sufficiente entrare per capire che sia stato costruito al risparmio, con materiali scadenti. La costruzione risale alla fine degli anni Ottanta, realizzata da Antonio D’Adamo, cresciuto nell’Edilnord di Berlusconi fino a diventare direttore generale, e successivamente imprenditore autonomo, che si era meritato sul campo i titoli di “nuovo Berlusconi” e “nuovo Ligresti”. Ma diventato più celebre come accusatore di Antonio Di Pietro e per il coinvolgimento in vari casi di fallimento e bancarotta. Ora la sua Milano Oltre potrebbe diventare il nuovo palazzo Mondadori.

Valerio Boni
valeboni2302@gmail.com

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