INPGI: troviamo una strada per uscire dalla crisi epocale

Speciale per Senza Bavaglio
Alberto Gerosa
Milano, 2 luglio 2019

Agire. Subito. Questa la necessità emersa dall’incontro-dibattito sull’INPGI promosso da Senza Bavaglio e da Unità Sindacale, tenutosi a Milano presso la Sala Stampa Nazionale di Via Cordusio alla presenza di circa una cinquantina di giornalisti.

La situazione è grave, lo dicono i numeri: presumibilmente, se non si farà nulla, entro il 2027 non ci saranno più soldi per pagare le pensioni, scadenza che addirittura potrebbe diventare più imminente, in quanto basata su previsioni occupazionali più ottimistiche rispetto all’effettiva crescita dell’economia (spiega Daniela Stigliano).

A pesare sui bilanci dell’INPGI provvedono non solo la carenza di nuove assunzioni, insufficienti a compensare con i contributi versati l’erogazione delle pensioni in essere, ma anche le sfortunate politiche di dismissione del patrimonio immobiliare dell’istituto e, non da ultimo, gli stipendi della governance dei giornalisti e di un apparato che conta non meno di 200 impiegati. E per faraonici che possano risultare certi emolumenti di figure dirigenziali o trattamenti pensionistici, bisogna con amarezza prendere atto che l’introduzione di tagli, sia pure drastici, non servirebbe comunque a risanare la situazione.

Buona parte della platea si è trovata concorde nel richiedere una totale trasparenza nella gestione dell’Istituto (“Ci devono chiaramente dire fino a quando ci saranno i soldi per pagare le pensioni”, ha detto Alberizzi). Si è ricordato in proposito che non si sa nulla riguardo a come Investire Sgr stia gestendo gli immobili dell’istituto, essendo quella società tenuta a rispondere solo alla Banca d’Italia. Qualcuno ha anche valutato l’opportunità di un ricorso alla magistratura da parte della categoria; prevalente è stata comunque l’opinione di coloro che ritengono un’eventuale denuncia alla procura un percorso tutto in salita, dal momento che di conclamato c’è ben poco, se non nulla (tranne eventualmente la mancata vigilanza da parte dei ministeri competenti, come ha chiosato in proposito Stigliano).

Quali strategie adottare, quindi? Quella di confluire nell’INPS, più che un’eventualità, pare per molti ormai un’inevitabile necessità. A suo favore si pronunciano, seppure a denti stretti, anche quei colleghi che ne risulterebbero penalizzati. L’INPGI è passato solo due anni fa da un vantaggioso sistema retributivo a un sistema completamente contributivo.

Certamente si possono (e si devono) investigare altre strade, ma nella riunione di Milano quella del passaggio all’INPS è apparsa la più percorribile.

C’è modo e modo, però, per entrare nell’INPS, come sottolineato in particolare dagli interventi di Marco lo Conte: è fondamentale che l’INPGI negozi a breve le condizioni del suo ingresso, forte del “tesoretto” di cui al momento ancora dispone. La strategia attendista adottata dal Governo, interpretata da alcuni come desiderio di venire incontro all’istituto spostando di qualche mese l’ipotesi del commissariamento, può essere anche letta come abile gestione del fattore-tempo per indebolire il più possibile l’Istituto e la sua capacità di contrattazione. Una strategia tutt’altro che inverosimile, se si pensa alle diffidenze e alle malcelate antipatie nei confronti dei giornalisti, di cui l’attuale compagine governativa ha già dato eloquente prova.

A sparigliare le carte di chi vedrebbe volentieri i giornalisti una volta per tutte ridimensionati e declassati nelle loro funzioni e organizzazioni di categoria (“se crolla l’INPGI crolla anche il sindacato”, ha osservato in merito Alberizzi), potrebbe provvedere la mossa teorizzata nel corso del dibattito da Rita Palumbo, già giornalista e ora segretario generale della Ferpi-Federazione Italiana Relazioni Pubbliche: richiedere congiuntamente, giornalisti e comunicatori, una gestione dedicata all’interno dell’INPS per professionisti della produzione intellettuale e dei contenuti, riconoscendo le rispettive specificità di entrambi i profili (più “liberi e autonomi” i giornalisti, più vincolati alla mediazione delle aziende i comunicatori, ai quali dovrebbe essere riconosciuto l’appannaggio delle relazioni col pubblico e della comunicazione degli eventi). Una possibile convergenza d’interessi, questa, che potrebbe aumentare esponenzialmente la massa critica da presentare ai colloqui con il Governo e con l’INPS: più di 100mila professionisti, di cui circa 40 mila giornalisti e oltre 80 mila operatori nel mercato della comunicazione.

Nello stesso tempo, Palumbo ha però messo le cose in chiaro: “È da escludere il percorso inverso, ovvero che i nostri comunicatori facciano ingresso nell’INPGI. Stiamo bene dove ci troviamo adesso, il cambio verso l’istituto previdenziale dei giornalisti mal si adatterebbe all’eterogeneità contrattuale tipica dei nostri professionisti (un comunicatore dell’ENI sottostà al contratto del settore energia, in Telecom a quello delle telecomunicazioni, ecc.), esponendoli al rischio di buchi contributivi”.

Qualcuno tra i colleghi ha storto il naso, nondimeno quella prospettata da Palumbo è una via concreta, percorribile, nel reciproco interesse di giornalisti e comunicatori. Ma per attuarla è necessario serrare i tempi. Ora più che mai.

Alberto Gerosa
@AlbertoGerosa

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