Africa batte Italia: il caso di Anas Aremeyaw Anas e il giornalismo investigativo in Ghana

Speciale per Senza Bavaglio
Sandro Pintus
Firenze, 7 marzo 2019

Ormai siamo un Paese dove nelle redazioni dei media, da tempo, sono spariti gli art. 1 e i corrispondenti esteri ma rimangono i freelance a partita Iva sottopagati. E pure in ritardo.  Siamo in un Paese “democratico” dove chi va in pensione non viene sostituito, dove fare il giornalista è sempre più difficile. Un Paese immerso da anni in una campagna elettorale permanente dove il populismo, e oggi anche il sovranismo, diventano sempre più invadenti e pervasivi e comunicano sui social con slogan faciloni e spesso volgari.

In Italia ormai l’informazione si legge su Facebook e la politica, anziché nelle sedi istituzionali, si fa su Twitter. Il caso di un giornalista investigativo ghanese può esserci utile e farci vedere il giornalismo africano da un altro punto di vista.

Si chiama Anas Aremeyaw Anas e tutti i giorni rischia la vita. Molti sicuramente lo conoscono anche in Europa – ma in Ghana e in tutta l’Africa è ormai un’istituzione.

Anas Aremeyaw Anas con una delle sue maschere

Il suo motto è “Name, Shame, Jail” (trova il nome, svergognalo e mandalo in galera). Opera soprattutto in Ghana ma si muove in molti Paesi dell’Africa sub-sahariana ma, per problemi di sicurezza, lavora sempre sotto copertura mentre in pubblico si presenta con una maschera.

Non si tratta di un film della Marvel. Un sistema che probabilmente da noi non funzionerebbe e che per qualcuno lo fa apparire tra un giustiziere e un novello “Zorro africano” ma che, nel grande continente nero, ha dato enormi risultati smascherando la corruzione.

Anas ha fondato la Tiger Eye Private Investigation di cui è amministratore delegato attraverso la quale, con un’equipe di giornalisti (tutti sotto copertura) e tecnici ad altissimo livello, realizza docufilm che distribuisce in tutto il mondo.

Dal 2004 ad oggi ha ricevuto una cinquantina di riconoscimenti. Sudafrica, Svizzera, Canada, Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Libano, India e naturalmente il Ghana, hanno premiato il suo importante lavoro contro la corruzione. Anche Barack Obama, durante la sua visita in Ghana nel 2009, lo ha elogiato pubblicamente con queste parole: “Stampa indipendente, settore privato vivace e società civile, sono le cose che danno vita alla democrazia. Lo vediamo nei giornalisti coraggiosi come Anas Aremeyaw Anas, che ha rischiato la vita per denunciare la verità”.

Aremeyaw lavora suprattutto sulle questioni relative all’abuso dei diritti umani, in particolare l’abuso sui minori e alla corruzione. Alcune delle sue produzioni sono realizzate in collaborazione con la BBC e AlJazeera. Sono una quarantina le inchieste e la loro preparazione dura anche anni. Tra queste la tratta di donne orientali in Ghana usate per la prostituzione; l’uccisione con veleno dei bambini posseduti dagli spiriti maligni; gli albini che in Tanzania sono adescati e venduti, mutilati o ammazzati per rituali di stregoneria.

Ultimo dei suoi reportage esplosivi, nel 2018, è “Number 12” un’indagine sulla “Calciopoli” africana. Ha smascherato la corruzione nel calcio incastrando, attraverso filmati, gli arbitri che prendevano mazzette. Egli stesso – e il suo team – dei panni dei corruttori hanno proposto loro bustarelle che i corrotti hanno accettato immediatamente senza vergogna.

L’indagine ha fatto saltare la locale Federcalcio multata con 500mila dollari dalla FIFA mentre il suo presidente, Kwesi Nyantakyi, beccato con le mani nel sacco mentre afferra una mazzetta da 65mila dollari, è stato costretto a dimettersi.

Kwesi Nyantakyi, uno dei corrotti dell’indagine sul calcio, ritira la tangente di 65mila dollari (Courtesy Anas Aremeyaw Anas)

Altra indagine sensazionale è “Ghana in the Eyes of God” (Ghana negli occhi di Dio) docufilm sulla corruzione dei giudici che ha fatto tremare l’intera magistratura ghanese. Definito il più grande scandalo che abbia colpito l’ex colonia britannica, mostra riprese video dove una trentina di magistrati corrotti prendono mazzette in cambio di assoluzioni.

Il giornalismo in Ghana è in stile anglosassone e vivace anche grazie al lavoro di Anas e della Tiger Eye Private Investigation. Nel rapporto 2018 di Reporter Sans Frontieres lo troviamo come 23° (l’Italia è 46a) posto, una posizione di tutto rispetto nella classifica della libertà di stampa.

Ma un terribile fatto di cronaca ha scioccato il mondo dei media del Paese africano. Lo scorso gennaio, Ahmed Hussein-Suale, 34enne giornalista del suo pool è stato ammazzato. Aveva indagato su Calciopoli e la sua identità era stata resa pubblica in una emittente tv locale da un deputato ghanese coinvolto nell’indagine che ha incitato all’odio il pubblico.

Qui nessuno va in giro a sparare. Non è mai successo nella nostra storia. Ecco perché è davvero scioccante – ha dichiarato Anas in un’intervista rilasciata ad Africa ExPress -. Lavorare sotto copertura produce risultati e prove, il vero nucleo del giornalismo è la prova. Se non hai prove non hai il caso. Sei suscettibile non solo di cause legali ma a ritrattazioni e risse giudiziarie”. Un bell’esempio di giornalismo africano, quello di Anas, da tenere in considerazione anche qui in Italia.

Sandro Pintus

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