Alla Mondadori rubano le ferie ai giornalisti. Con l’accordo del sindacato

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Milano, 31 gennaio 2019

Negli anni in cui il gossip non era protagonista, Mondadori dominava il mercato con i reportage di Walter Bonatti su Epoca, con i Gialli e con i romanzi della serie Urania. Dal 1952 questi ultimi si sono imposti come veri e propri oggetti di culto per gli appassionati del genere fantascienza, in un’epoca in cui gli anni Duemila apparivano lontani. Ora però a Segrate la realtà va ben oltre quella della fertile fantasia degli Urania. Palazzo Niemeyer sembra trasformato in un’astronave aliena la cui missione è precisa: annientare la popolazione dei giornalisti.

Può sembrare uno scherzo, in realtà la situazione è seria, anzi drammatica, poiché la proprietà riesce praticamente a inventarsi ogni giorno nuove soluzioni che hanno l’obiettivo di far crescere l’Ebitda senza scrupoli di alcun genere. E l’aspetto più preoccupante è rappresentato dal CdR ormai allo sbando che sembra non preoccuparsi nemmeno più di salvare le apparenze, limitandosi a fare da passacarte, trasferendo pedissequamente ai giornalisti quelle che sono le decisioni del management.

Il palazzo della Mondadori a Segrate (foto Senza Bavaglio)

Proprio ieri, nel corso di una causa in appello, il legale dell’azienda lamentava i numerosi esuberi sparando numeri a caso, visto che dopo l’uscita dal perimetro della redazione di Panorama non sono stati fatti nuovi conteggi. Rispetto al passato, tra l’altro, potrebbe essere complicato convincere il ministro del lavoro Luigi Di Maio ad aiutare un’azienda che nel 2017 ha prodotto un utile di 30,4 milioni di euro. Quel che è certo è che nulla sarà lasciato intentato, visto che ormai la fame è compulsiva, patologica e non ci si può permettere di lasciare nemmeno le briciole. Per farlo si lavora su più fronti, con un piano che sta avanzando senza intoppi, senza vergogna e soprattutto senza che chi dovrebbe vigilare faccia qualcosa per contrastare tanta arroganza.

In attesa dell’assemblea, rimandata da martedì 29 a oggi, per garantire la presenza del rappresentante della FNSI, l’avvocato  Giuseppe Catelli, e di Paolo Perrucchini, un nuovo motivo di preoccupazione si somma a quelli che già turbano il sonno di quanti pensavano che con la cessione di Panorama il peggio fosse passato e si potesse tornare lentamente alla normalità. Mentre si aspetta di capire quando, come e chi (il se non è assolutamente in discussione) colpirà l’annunciata incursione orizzontale, la busta paga ha portato una sgradita sorpresa. Circa il 70 per cento dei giornalisti sopravvissuti all’estinzione ha scoperto di avere perso fino a 12 giorni di ferie maturati, senza averli mai consumati.

Per la verità non è stato un blitz, ma la conseguenza di un ulteriore accordo scriteriato che il CdR ha firmato nell’estate 2017. L’impegno ad azzerare le ferie faceva parte del pacchetto “SalvaConfidenze”, poiché l’azienda lo ha astutamente proposto all’esecutivo insieme alll’ultimo stato di crisi semestrale e all’impegno a tagliare fino al 30 per cento gli stipendi dei colleghi delle redazioni che rischiavano di passare al famigerato editore croato. Sull’onda dell’euforia per avere salvato – ma vedendo come si muovono in Mondadori sarebbe più corretto dire posticipato la cessione – le due testate, il sindacato ha facilmente ottenuto il nulla osta dall’assemblea per applicare un provvedimento che almeno sulla carta sembrava di poco conto.

Già in passato in tema di ferie erano stati fatti piani di rientro, chiusi senza alcuna conseguenza; ma erano altri tempi. Che Ernesto Mauri non scherzasse era sembrato chiaro a fine novembre, quando l’esecutivo si premurò di far presente che il termine del 31 dicembre 2018 sarebbe stato perentorio, senza che la richiesta deroga di tre mesi venisse minimamente presa in considerazione. In teoria i circa sei mesi che separavano dalla fine dell’anno avrebbero consentito a tutti di portare il saldo a zero, ma nella realtà le cose sono andate diversamente, poiché tra i circa 100 giornalisti penalizzati dal provvedimento c’è chi ha speso più di 50 giorni in un anno, senza centrare l’obiettivo. E la causa è spesso da ricercare nell’impossibilità di poter rimanere a casa per problemi legati all’organizzazione del lavoro nelle redazioni, in particolare di quelle più piccole: ma se il direttore non firma una esplicita richiesta di restare al lavoro rinunciando alle ferie nulla si può pretedere: si lavora, non si discute e addio alle ferie.

Ormai le soluzioni creative di Mondadori non stupiscono più, sono ogni giorno più invasive e allo steso tempo più subdole. Non si limitano a calpestare normative e contratti, ora minano anche valori costituzionali. L’aspetto più preoccupante è che sono proposte in modo da non apparire imposte dall’alto, ma incredibilmente richieste dalla base. Tutto ciò complica la possibilità di far valere in giudizio i diritti, visto che tutto è avvenuto sotto il cappello di un accordo sindacale che perlomeno poteva essere sottoscritto in termini diversi, vale a dire arrivando a imporre le ferie. La soppressione tout court è senza mezzi termini un vergognoso furto che la dice lunga sulla credibilità della proprietà e del sindacato.

Un’accoppiata che già si era distinta nei mesi precedenti per un curioso quanto penalizzante sistema di accumulo delle ferie durante il periodo di cassa integrazione, che ha di fatto sottratto ulteriori giorni ai colleghi e portato di conseguenza denaro nelle tasche dei manager. Gli avvocati interpellati sull’argomento sono sconcertati dal cinismo che di fatto limita le possibilità di tornare in possesso di quanto sottratto. Per farlo bisognerebbe perlomeno avere una copia della richiesta scritta delle ferie inviata e respinta dal direttore, altrimenti tutto diventa più complesso.

L’assemblea difficilmente porterà risposte concrete, e più verosimilmente si limiterà ad analizzare quelli che potrebbero essere gli scenari futuri accettando o rifiutando la nuova proposta capestro pensata per rendere economicamente più attraenti le redazioni da cedere. Che, ormai è chiaro, non sono solo quelle in perdita, ma anche quelle con i conti più in regola, solo dopo avere spremuto tutto il possibile.

Purtroppo il metodo Mondadori è già stato adottato da altri editori senza scrupoli ed è evidente che le responsabilità sono di chi avrebbe non solo potuto, ma dovuto vigilare. Invece l’attenzione del sindacato è rimasta alta fino agli anni Novanta, quando obiettivamente i motivi per dubitare della lealtà della controparte non sussistevano, per poi calare progressivamente non cogliendo e sottovalutando quei segnali di pericolo che arrivavano da più parti. L’ultimo esecutivo ha dato il colpo di grazia, ma la sensazione è che abbia ancora la possibilità di peggiorare una situazione già critica. La partita però non è ancora persa, non si può partire con la convinzione di non avere margini. Quel che conta ora è vigilare con attenzione, fermando i dilettanti allo sbaraglio prima che facciano altri danni . Occorre interrompere il flusso di accordi suggeriti dall’azienda e imposti contando sull’equivoco.

Valerio Boni

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