Privacy e diritto a elezioni democratiche: gli elenchi non vanno secretati

Speciale per Senza Bavaglio
Ugo Minneci
Milano, 28 gennio 2018

Con l’emergere dei nuovi diritti può capitare che interessi protetti e di pari rango entrino in rotta di collisione. In queste situazioni, la risposta non può essere quella di far prevalere l’uno sull’altro, perché sarebbe un po’ come dare con una mano e togliere con l’altra. In altri termini, il sacrificio della posizione reputata soccombente porterebbe comunque con sé un arretramento della rete di protezione complessivamente offerta dall’ordinamento.

La via da seguire appare piuttosto quella del contemperamento dei vari interessi in gioco, spostando il focus  dell’attenzione dal piano dell’an a quello del quomodo della tutela.

Più chiaramente, la crescente complessità (se non potenziale entropia) giuridica indotta dalla proliferazione dei diritti richiama l’interprete a uno sforzo di fantasia per individuare tecniche e forme di raccordo idonee a disinnescare gli eventuali attriti suscettibili di insorgere tra l’una e l’altra situazione protetta, in modo da non lasciarne indietro alcuna.

Queste considerazioni consentono di impostare correttamente la questione relativa alla legittimità della richiesta di accesso agli indirizzari degli iscritti a una associazione da parte di chi intenda promuovere iniziative di propaganda per la propria candidatura o lista in occasione del rinnovo delle cariche associative.

Il tema, già portato all’attenzione del garante del Privacy (cfr. parere 24 giugno 2008), è stato recentemente risollevato in vista del rinnovo delle cariche all’interno del Fondo complementare dei giornalisti.

Ora, che la comunicazione dei dati richiesti costituisca una forma di trattamento di dati personali (per di più nel caso di specie, sensibili, considerata l’origine sindacale del Fondo), appare indubitabile.

Cionondimeno, fornire un riscontro negativo facendosi semplicemente scudo dietro il difetto del consenso degli iscritti significherebbe mortificare interessi ulteriori, come quelli di elettorato attivo e passivo, che appaiono di portata almeno eguale al c.d. diritto alla privacy, specie all’interno di un ente il cui ordinamento non può che essere improntato a principi di democrazia, trattandosi di una emanazione del Sindacato.

D’altro canto, non si andrebbe oltre il mero espediente formalistico ove si tentasse di argomentare il diniego sulla base della assenza di una clausola statutaria che permetta in certe situazioni il trattamento dei dati personali degli iscritti anche senza il loro consenso. E ciò vuoi perché al tempo di istituzione del Fondo la normativa in tema di privacy non era stata ancora introdotta (sicché il silenzio delle tavole statutarie non appare idoneo a riflettere alcuna presa di posizione al riguardo), vuoi in considerazione della difficoltà per una lista, tanto più minoritaria, di attivare le procedure di revisione di uno statuto (richiedente il più delle volte maggioranze qualificate e pertanto nelle mani dell’establishment di comando).

Sgombrato il campo dalle false risposte, occorre rimboccarsi le maniche per individuare, più che una soluzione secca, una sorta di percorso che, tenendo conto delle diverse posizioni in gioco, trovi il modo di contemperarle tutte in modo efficace.

Al riguardo, una strada rispettosa dei vari interessi coinvolti (privacy da un lato; diritti di elettorato attivo e passivo dall’altro) parrebbe suggerire:

  • la necessità che il soggetto richiedente gli indirizzari indichi per iscritto le finalità che intende perseguire con i dati richiesti (ad esempio, l’invio di comunicazioni relative alla propria candidatura), prestando al contempo adeguate garanzie in ordine al corretto uso, conservazione e trattamento dei dati ricevuti.
  • la doverosità, da parte dell’organo amministrativo della associazione, di promuovere una sorta di interpello presso tutti gli iscritti sulla eventuale disponibilità degli stessi a far comunicare i relativi dati per gli scopi indicati, fermo l’ulteriore  avvertimento della equiparazione, in caso di mancato riscontro nel termine previsto, del silenzio a una manifestazione di consenso. Vero è infatti che appartiene al modo di essere di una associazione con ordinamento democratico consentire ad ogni lista e/o candidato di svolgere la competizione elettorale, assumendo iniziative di propaganda nei confronti del maggior numero possibile di potenziali interessati.

Una volta compiuti gli steps appena riferiti, non sembra eversivo affermare che sussistano le condizioni per reputare non soltanto legittima ma addirittura dovuta la comunicazione al soggetto richiedente dei dati relativi agli iscritti che hanno prestato il proprio consenso o che non hanno fornito alcun riscontro nel termine indicato.

I rilievi appena svolti attribuiscono all’organo amministrativo dell’Ente un ruolo fondamentale sotto il duplice profilo, da un lato, della valutazione delle finalità e delle garanzie sottostanti alla richiesta di comunicazione dei dati personali; dall’altro, della attivazione di ogni iniziativa necessaria per consentire il pieno svolgimento della competizione elettorale nel rispetto delle prerogative in materia di privacy.

L’assunzione di atteggiamenti, a seconda dei casi, imprudenti e/o dilatori (se non addirittura inerti) non potrà che valere come motivo di specifico addebito se non addirittura – alla luce della delicatezza degli interessi coinvolti – di revoca per giusta causa.

Ugo Minneci
Avvocsto e docente all’uiversità di Milano

Garante della Privacy sugli elenchi degli iscritti al sindacato da consegnare a chi si presenta alle elezioni

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