Come funziona il giornalismo italiano per chi si occupa di esteri

Fanno riflettere le considerazioni del giornalista Alberto Negri,
inviato di guerra per diversi decenni, sulle modalità
del giornalismo nostrano in merito alla politica estera.
Parole amare che riaprono dibattiti e invitano alla mobilitazione,
affinché l’agognato cambiamento nel mondo giornalistico,
nazionale e non, diventi l’obiettivo della nostra categoria.

 

Alberto Negri

Speciale per Senza Bavaglio
Alberto Negri
Milano, 16 novembre 2018

Ecco come funziona il giornalismo da noi almeno sugli esteri. La politica estera e il mestiere di inviato di guerra che ho esercitato per 35 anni sono da noi assai marginali: giornali e tv sono ripiegate sull’ombelico italico da sempre.

I posti, e ovviamente gli stipendi migliori, vengono riservati agli amici degli editori, dei politici e di qualche lobby, come quella che influenza le nomine sui corrispondenti in Israele. Chi è contro Israele o viaggia il mondo arabo e iraniano è un amico dei terroristi, quindi sospetto.

Poi c’è la sudditanza nei confronti degli USA: per anni chi era contrario alla politica americana in Medio Oriente non scriveva editoriali e i suoi reportage erano relegati nelle pagine interne. Emblematica la guerra in Iraq del 2003 in cui la stragrande maggioranza della stampa ha appoggiato la guerra senza neppure sapere dove fosse il Medio Oriente.

In sintesi, devi essere amico di Israele e degli Stati Uniti: come la maggior parte di coloro che hanno governato l’Italia in questi decenni, tranne rare eccezioni. Chi non ha aderito o aderisce a questa visione è destinato ai margini. Fine delle trasmissioni.

Alberto Negri
Candidato alle elezioni per i delegati al congresso della FNSI nella lista “Senza Bavaglio e Indipendenti”

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