Il giornalismo alla corde muore e il sindacato sta a guardare

Romano Bartoloni
Roma, 21 giugno 2018
Il sindacato si prepara alla stagione dei congressi con le sorti del giornalismo alle corde. Gli ultimi sono stati gli anni peggiori della nostra vita con il crollo verticale della occupazione, con migliaia di colleghi volenti o nolenti mandati in pensione, con la crescita esponenziale della piaga del precariato giovanile, sottopagato, sfruttato e ricattato a detrimento della professione, e in barba alle regole e alle certezze contrattuali del lavoro.

Secondo un recente rapporto dell’’INPGI, mentre nel Paese il sistema ha retto malgrado tutto, alla nostra categoria è andata peggio con la perdita del 15,14 per cento degli occupati. Nel quadro fornito sia dall’’Istituto sia, di recente, dalla Corte dei conti, la nostra situazione fa drizzare i capelli. Siamo scesi a 15.156 rapporti di lavoro dipendenti con un taglio di 3 mila in 5 anni (900 solo nell’ultimo). Di contro è scoppiato il boom delle pensioni erogate dall’’Inpgi, 9.398 (quasi raddoppiate) con 7.114 dirette e 2.284 per i superstiti. Grido di allarme della presidente Macelloni: “per la prima volta nella sua storia l’’INPGI ha chiuso il 2017 con una perdita di 100 milioni (100,6 nel bilancio – ndr)”. Altrettanto allarmante la perdita di gestione, 134 milioni che è la differenza fra la spesa previdenziale e gli introiti contributivi, sempre più bassi per il giro di vite sugli stipendi dei giovani, cosicché ogni pensionato è a carico di “un attivo e mezzo (1,60)”. A sentire la Corte, “con i conti attuali l’’INPGI non potrà restare a lungo un ente autonomo”.

Se le prospettive sono inquietanti, già questi anni sono stati i più bui per i giornalisti pensionati: scomparsa definitivamente ogni forma di perequazione, introdotto il prelievo forzoso o contributo di solidarietà, taglieggiata la ex fissa. Espulsi a viva forza dal mestiere della loro vita, maltollerati dalle ultime generazioni per vere o presunte disparità, senza reti di sicurezza per l’’INPGI e per l’’avvenire, hanno rotto i ponti con il loro sindacato, e con il loro organismo sindacale di base l’’UNGP.

All’’ultimo Consiglio Nazionale, il 19 giugno, nel tracciare un bilancio dell’’Unione in vista del Congresso della primavera 2019, il presidente Guido Bossa, pur consapevole della drammaticità della situazione, si è dichiarato soddisfatto della attività svolta e delle conclusioni del suo duplice mandato presidenziale giunto alla fine della corsa in base alle norme degli Statuti dell’’UNGP e della FNSI. Nell’’occasione, ha invocato la causa della sfida della solidarietà fra generazioni di colleghi, oggi appannata per ragioni contrapposte e la cui crisi ha azzerato la partecipazione delle migliaia di nuovi pensionati alla vita del sindacato già in crisi generale di adesioni.

Magari fossero autentici i dati in suo possesso che porterebbero ad un aumento di 1.000 iscritti all’’Unione. All’’ultimo Congresso di Chianciano nel gennaio 2015, il numero dei delegati era stato calcolato sulla base di 2.133 iscritti nell’’estate 2013. Oggi sarebbero saliti a 3.405. In realtà i mille “garibaldini” di Bossa non esistono. Diverso risultato, infatti, documentano le cifre ufficiali fornite dalla FNSI in vista dei Congressi e allegate al bilancio federale approvato nell’’ultimo Consiglio Nazionale. 3.200, invece di 3.405, il totale degli iscritti alle associazioni territoriali regionali, e poi da cancellare 800 pensionati lombardi che si sono autoridotti la quota sociale dello 0,30 in vigore per tutti i giornalisti, escludendosi automaticamente dalla appartenenza all’’UNGP. Purtroppo, un’’ulteriore conferma che la gran massa dei 3 mila nuovi pensionati rifiuta il rapporto con il sindacato che di certo non li ha aiutati a comprendere meglio le ragioni e gli scopi di una battaglia comune nella attuale critica congiuntura.

Romano Bartoloni
Presidente Gruppo romano giornalisti pensionati

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