di Fabio Morabito
Consigliere generale INPGI, eletto nel Lazio
Roma, 24 marzo 2016
Credo che prima di tutto si debba partire dalla consapevolezza della gravità del momento. Nei prossimi anni si decide del destino dell’Inpgi e non parlo necessariamente della sua sopravvivenza. Penso alla qualità dei servizi che finora l’Istituto ha dato ai suoi iscritti, che va difesa il meglio possibile, con un gravoso impegno in più: l’imperativo morale di dare risposte ai giornalisti senza tutele, a cominciare dai parasubordinati.
C’è una strada percorribile. Ed è al fianco del sindacato. Il che non significa reciproca dipendenza. In passato il sindacato ha scelto i vertici dell’Inpgi, all’ultimo congresso della Fnsi è stato il vertice dell’Inpgi a scegliere chi avrebbe guidato il sindacato.
E invece non ci deve essere dipendenza l’uno dall’altro, ma reciproca e autorevole collaborazione frutto di autonomia, non di intrecci decisi da correnti e inciuci.
È noto come la penso: i conti dell’Inpgi sono stati dissestati prima ancora che della crisi economica – gestita peraltro malissimo dalla Fnsi – proprio da scelte sbagliate del sindacato unico dei giornalisti. Ma non è negando il peso che il sindacato ha sull’occupazione e quindi sulla previdenza che si viene a capo del problema. Bisogna rimboccarsi le maniche, valorizzare le capacità in campo, saper prendere decisioni prima di tutto su sé stessi.
Per questo, con altri colleghi, insisto sulla necessità che siano ridimensionati i compensi dell’Inpgi in modo drastico, a cominciare dall’appannaggio del presidente e dei componenti del Consiglio d’amministrazione. È il modo più efficace di comunicare ai colleghi che si tratta di un impegno da assolvere con spirito di servizio, non di una fonte di reddito.
I segnali però che ci sia questa consapevolezza non li ho visti. Ci sono state delle riunioni che hanno preceduto questa prima decisiva convocazione dei nuovi eletti. Ecco, a queste riunioni post-elettorali, in questi giorni, hanno partecipato capi-corrente, qualche eletto e qualche non eletto che comunque è considerato a capo di qualcosa, segretari regionali dell’Assostampa e componenti di giunta della Fnsi.
Riunioni legittime, anche se l’eco che mi è giunta sa molto di vecchio, di un’impostazione che è gestione di potere e non di umile volontà di scegliere i migliori dirigenti possibili. Queste riunioni si sono svolte qui all’Inpgi, e l’anomalia è che a guidarle è stato il presidente uscente, rinviato a giudizio.
Legittimo anche questo, ma non mi sembra di buon gusto.
C’è invece bisogno di un CdA che sia indipendente dalle scelte del passato. Che non abbia cambiali di riconoscenza, che non sia condizionato neppure da un sentimento nobile come l’amicizia. C’è necessità di dirigenti che non abbiano conflitti d’interessi, fossero solo sotto forma di rapporti personali. Non capirlo ora condizionerà la credibilità dell’istituto e del sindacato.
Queste riunioni, nel racconto che è stato fatto a me o sui siti, sono state definite “di maggioranza” il che significa escludere qualcuno. Di maggioranza di cosa? Del sindacato, perché l’Inpgi non aveva una maggioranza o una minoranza, ma un consenso quasi unanime per il suo presidente fino a quando però questi è stato indagato.
Ricordo che Camporese è stato rieletto, dopo il primo mandato di quattro anni, per altri quattro anni all’unanimità. All’unanimità! Ma a leggere tanto rumore sull’Inpgi prima del voto per i nuovi consiglieri, sembra che il presidente avesse una fronda consolidata. E invece nel Cda si parlava addirittura di cambiare lo statuto per permettergli un terzo mandato. Solo da quando è indagato è uscita fuori, un po’ per volta, una sequenza di critiche. La mancata trasparenza negli atti, ad esempio. Quante volte in queste settimane ho letto che il presidente dell’Inpgi guadagna quanto più di quello degli Stati Uniti! Ma quando venne aumentato l’appannaggio di Camporese – due o tre anni fa, non so – silenzio.
Il primo atto del nuovo CdA dovrà essere la costituzione di parte civile per lo scandalo Sopaf. Non è stato fatto finora. Va fatto, è un atto di tutela dell’istituto. E accanto c’è un agenda da scrivere, che deve avere i tempi dell’urgenza. Devono essere messe a punto le misure ancora necessarie per la riforma previdenziale. Credo che si debba studiare, d’intesa con la Fnsi, quegli interventi nella trattativa con la Fieg per il contratto che possano dare risorse – anche in via provvisoria – all’Inpgi intervenendo sulla contribuzione complessiva ma lasciando percorsi agevolati per le nuove assunzioni.
Nello studio di una riforma che possa equilibrare i conti dell’istituto tra contributi e prestazioni non si deve perdere di vista la necessità di tutelare i colleghi più deboli con tutte le misure possibili, e in questo può aiutare l’attività degli ispettori. Ci si deve porre l’obbiettivo di trattamenti decorosi per tutti. Su un altro piano, bisogna intervenire con altrettanta urgenza su tutti i piani di stati di crisi avviati, perché non un euro esca dalle casse dell’Inpgi se non sia legittimamente motivato.
Faccio un esempio: i contratti di solidarietà orizzontali per le figure da redattore capo in su non sono legittimi – anche se firmati da Fnsi e Fieg – perché il contratto di lavoro dei giornalisti non prevede limite d’orario per queste figure contrattuali. Non si può limitare l’orario di lavoro a chi non ha contrattualmente limiti d’orario! Va tentata la strada di allargare la base contributiva – viene da pensare prima di tutto agli uffici stampa – ma che nessuno scopra l’acqua calda. Camporese ci provò già, ora le condizioni sono anche più difficili con l’Inpgi che ha perso l’immagine positiva del passato.
Accanto a questi interventi, c’è una necessità immediata di maggiore trasparenza delle attività dell’Istituto; va ridotto l’ammontare di investimento che il presidente può deliberare da solo; serve un impegno immediato riguardo la gestione degli immobili, che tenga conto delle realtà di mercato e delle esigenze degli inquilini. Quest’ultimo è un tema spinoso, c’è il rischio evidente che vengano dismessi gli immobili pregiati impoverendo il patrimonio e complicando il futuro.
Il percorso è difficile, non impossibile.
Ma ci vuole una capacità di ragionare con logiche diverse da quelle dell’ultimo passato, ricordando che l’Inpgi è patrimonio di tutti. Anche e soprattutto pensando ai più giovani, ai quali è nostro dovere garantire i diritti che hanno permesso ai meno giovani di fare bene il loro lavoro di giornalista.
Fabio Morabito
Consigliere generale, eletto nel Lazio
Quest’intervento è stato tenuto alla riunone del Consiglio Generale del 22 marzo 2016 prima del voto
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