Andrea Camporese è al vertice dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani, un forziere che gestisce i soldi destinati a finanziare le nostre pensioni, oltreché dell’Associazione degli Enti Previdenziali Privati (AdEPP).
Sia ben chiaro: finché non sarà condannato (se lo sarà) Camporese per noi (e per la legge) è e resta innocente.
Ma oltre alle questioni di giustizia esistono anche questioni di opportunità. Ci chiediamo: con quale faccia Andrea Camporese può rappresentare INPGI e AdEPP? Con quale faccia può continuare a gestire il nostro istituto previdenziale, assumendo decisioni fondamentali per il nostro futuro e mantenendo contatti ai più alti livelli di Governo uno che deve rispondere di aver incassato 200 mila euro di tangenti?
E qui sgombriamo il campo dalle correnti sindacali: che sia Camporese o meno nel mirino della magistratura, poco importa.
Quello che importa è che il massimo rappresentante dell’INPGI è oggi imputato (non più indagato) per reati gravissimi. E dunque (chiunque sia) deve essere libero di difendersi con serenità e libertà da una parte, dall’altra non può governare un istituto mentre aleggia l’ombra del sospetto. Che magari non sfiora i suoi “amici”, ma la Procura della Repubblica sì.
Ricordiamo qualche altro “dettaglio”. Nei mesi scorsi l’inchiesta è stata formalmente conclusa: il pubblico ministero Gaetano Ruta, come previsto dalle norme relative alle indagini preliminari, ha concesso il termine di legge agli indagati – Camporese compreso – per difendersi e chiedere di essere interrogati.
Ci domandiamo (e gli domandiamo): lo ha fatto il nostro presidente? Non lo sappiamo.
Sta di fatto che, trascorso questo termine, il pm ha deciso di chiedere il processo anche per Camporese: deciderà un giudice terzo (il gup) se rinviare a giudizio il “nostro” presidente.
Ma poiché il pm ha già esercitato l’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio, a questo punto Camporese non è più un “solo” sospettato ovvero un indagato per i reati di truffa e di corruzione. E’ di più: Camporese, oggi, è un imputato. Il che – ripetiamo – non significa che sia colpevole. Significa che la procura ritiene di avere in mano elementi forti da esigere una verifica processuale delle accuse.
Siamo sconcertati. Quando le accuse sfioravano i Previti (ex ministro della Giustizia), i Berlusconi (solo per citarne alcuni) e a tanti altri, in parecchi (e molti noi giornalisti in prima linea) eravamo pronti a reclamare le loro dimissioni da cariche istituzionali. Gli interessati replicavano parlando di persecuzione della magistratura. E i loro amici erano a fianco per fare loro da sponda.
E nella “casta” dei giornalisti che succede? Qualcuno ha espresso la solidarietà a Camporese. Altri hanno taciuto facendo quasi finta di non sapere ciò che stava accadendo. No, no, non funziona così. In questo modo i giornalisti e il giornalismo italiano perdono autorevolezza e prestigio. Non si può ignorare quello che sta accadendo ai vertici del nostro Istituto, altrimenti come potremo rispondere con adeguata fermezza alle accuse di difendere la nostra casta?
Come succede in molti altri Paesi dell’Europa, noi chiediamo a Camporese un gesto di correttezza istituzionale e di responsabilità: non sappiamo se è innocente o colpevole, sarà l’autorità giudiziaria a pronunciarsi. Noi chiediamo a Camporese di farsi da parte e di dimettersi. Un comportamento diverso getta discredito su tutto il mondo dell’informazione che sulla vicenda ha tenuto un inspiegabile silenzio.
I guai giudiziari di cui è protagonista non devono coinvolgere le migliaia di giornalisti che, di certo, non hanno potuto contare (e non contano) su lauti stipendi come il suo.
Ma oggi chiediamo di più a Camporese in nome della trasparenza richiesta dal nostro mestiere: metta in rete – visto che si è attrezzato con un blog – tutti i rendiconti di stipendi, spese, rimborsi e quant’altro incassati negli anni della sua presidenza all’INPGI. E metta in rete anche la richiesta di rinvio a giudizio ora che l’indagine non è più coperta dal segreto affinché tutti noi possiamo conoscere le accuse a lui contestate, in attesa di quello che il presidente vorrà e dovrà chiarire non solo all’autorità giudiziaria ma a tutti noi.
Un atteggiamento responsabile come questo servirebbe a fare luce su entrate e uscite e sgombrere il campo da illazioni, voci e accuse mosse ad arte. Con tutto il rispetto e l’attenzione che merita questa vicenda, occorre controllare tutte le spese e magari anche sapere quale tipo di benefit l’INPGI mette a disposizione dei suoi massimi rappresentanti.
Già perché in questi tempi di vacche non proprio grasse, pure noi giornalisti potremmo cominciare a pensare di sforbiciare un po’ le spese ai vertici dei nostri organismi rappresentativi. Esattamente come esigiamo dal mondo della politica e dei sindacati. Delle altre categorie, naturalmente. Perché siamo bravi a fare le omelie, noi giornalisti. Sempre guardando gli altri, mai (o poco) in casa nostra.
Senza Bavaglio
13 ottobre 2015
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