Al Fondo per la pensione complementare sono iscritti ben 15.000 giornalisti, eppure manca un’adeguata informazione agli iscritti di come venga gestito. La situazione dell’informazione agli iscritti è peggiore di quella della Fnsi, dell’Inpgi, dell’Ordine, della Casagit e delle Associazioni Regionali della Stampa, che non sono certo eccelse, e questa situazione è la conferma di tre realtà:
+ svolgiamo la professione di giornalisti, cioè di elaborazione e comunicazione delle notizie, ma non sappiamo comunicare adeguatamente tutto ciò che riguarda i nostri organismi di categoria;
+ se non c’è un’adeguata comunicazione a tutti gli iscritti, la gestione dei nostri organismi non si può dire sufficientemente trasparente. Il che può portare a scorrettezze ed errori anche gravi senza la possibilità di evitarli accorgendosene prima grazie all’interessamento del maggior numero possibile di colleghi;
+ siamo una categoria di professionisti non sufficientemente interessati alla realtà dei propri organismi, come se la pera debba caderci sempre in bocca. E ben matura.
E’ inevitabile che tutto ciò comporti da una parte gestioni non sempre encomiabili, fatta eccezione per gli organismi vigilati, come per esempio l’Inpgi, da ministeri e altre autorità esterne, e dall’altra una difficile difesa degli interessi della nostra professione. Cosa quest’ultima particolarmente grave e dannosa nella situazione attuale, nei tempi che stiamo vivendo e che non saranno brevi.
Infine, pochi sanno che si può restare iscritti al Fondo complementare anche quando si va in pensione. Basta infatti versare di tasca propria fino a un massimo di 5.160 euro l’anno, che oltre ad aumentare di valore al passo con quando accumulato nel Fondo permette detrazioni nella dichiarazione dei redditi. Per i beati che hanno pensioni da almeno 100 mila euro (lordi) l’anno, la detrazione di quei 5.160 euro versati volontariamente al Fondo permette di pagare addirittura il 43% in meno di tasse!
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