Avvertenza: I personaggi e i fatti riportati nelle pagine del “Diario di Piero” sono immaginari ma autentica è la realtà che li produce.
Milano, 25 luglio ? Sono entrato in quella stanza per sbaglio, per cercare un collega. Mi sono ritrovato davanti a tre autorevoli sindacalisti, uno dei quali aveva le sembianze di un residuato bellico degli Anni Settanta. Una sorta di indiano metropolitano con jeans attillati e sdruciti. Ai suoi lati stavano gli altri due, più giovani e ossequiosi. Una composizione umana che aveva qualcosa di sacro.
L’indiano mi ha guardato fisso negli occhi e poi ha detto: «Figliuolo di cosa hai bisogno? Siediti, siamo qui per aiutarti». Sono rimasto un po’ frastornato ma ho risposto: «Veramente sto cercando un collega. Si è infilato in una di queste stanze per sbrigare delle pratiche ma non riesco a trovarlo». E l’indiano: «Figliolo, siediti. Questo è il posto giusto per aspettare il tuo amico. Tutti prima o poi finiscono in questa stanza. Come ti chiami?»
Mi sono seduto. L’indiano e i due discepoli hanno iniziato a rivolgermi domande a raffica, in particolare per conoscere la mia situazione lavorativa. Ho risposto che non potevo lamentarmi. Uno dei discepoli con una smorfia: «Sei sicuro di non avere bisogno di aiuto perché possiamo veramente fare qualcosa per te. Se non hai problemi perché sei entrato in questa stanza? Non può essere un caso. Non essere timido, parla apertamente dei tuoi problemi».
Ho pensato di essere vittima di uno scherzo. L’indiano si è alzato di scatto dalla scrivania, si è avvicinato ed ha allungato un dito fino quasi a toccarmi il naso. «Non abbiamo amici nella tua redazione. Tu potresti essere il nostro referente in vista delle prossime elezioni. Devi farmi avere al più presto un tuo curriculum vitae, magari riesco a farti compiere qualche passo in avanti nella redazione».
In quel momento è entrato il mio amico. L’indiano l’ha guardato dritto negli occhi e: «Figliuolo, siediti ti aspettavamo. Gli
amici degli amici sono nostri amici. Di cosa hai bisogno? Siediti».
La stessa scena, la stessa proposta in vista delle elezioni. Ho provato un forte senso di disagio. Io e il mio collega siamo andati via salutati con amichevoli pacche sulle spalle e sorrisi così ampi e luminosi da fare invidia al presidente del Consiglio. Cercavano proseliti e stranamente in quei giorni anche per chiedere le cose più banali prima o poi si finiva in quella stanza.
È tutto per oggi
Danilo Lenzo
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