Avvertenza: I personaggi e i fatti riportati nelle pagine del “Diario di Piero” sono immaginari ma autentica è la realtà che li produce.
Milano, 10 ottobre 2006 – E da quando ero ragazzo che non avvertivo un forte senso di imbarazzo come quello provato nei giorni scorsi. Sono entrato in un bar nel centro storico di Milano ed ho incontrato Angelo Borgomastro, un collega che lavora in un’agenzia stampa. Con lo sguardo mi ha passato ai raggi X dalla testa ai piedi. «Ma stai bene? Stai lavorando?», mi ha chiesto con tono preoccupato e molto nauseato. Sono rimasto con la tazzina di caffè ferma a mezz’aria cercando di capire cosa stava succedendo, poi ho realizzato.
Borgomastro era vestito con giacca e cravatta, gemelli d’oro ai polsini e orologio rolex bene in vista. Io invece indossavo, jeans, polo rossa a maniche lunghe e una vecchia giacca di pelle nera. Come se non bastasse avevo la barba molto lunga (ma è normale quando non si taglia per qualche settimana).
«Certamente. Sto benissimo e il lavoro non mi manca», ho riposto al collega sempre più preoccupato. La discussione è continuata parlando del più e del meno, ma lui mi fissava in maniera molto strana. Al momento di pagare la consumazione mi ha bloccato quasi strappandomi un braccio, per poi nervosamente allungare una sua banconota di cento euro al cassiere. «Ci mancherebbe, offro io. In queste condizioni. Tu hai anche famiglia, dei figli, lascia stare», ha mormorato.
Per qualche attimo ho pensato seriamente di dargli uno schiaffo, ma alla fine è prevalsa la ragione. Mi ha stretto la mano, mi ha dato il suo biglietto da visita dicendomi di chiamarlo in caso di necessità e poi si è frettolosamente congedato. Eppure non ero vestito male, sportivo sicuramente e perfino di marca ma questo ultimo particolare non è interessante ai fini della storia.
Il mio grande stupore deriva dal comportamento di Angelo Borgomastro, uno che è diventato giornalista professionista per
virtù dello spirito santo. Nella sua vita ha fatto di tutto dall’imbianchino al giardiniere, dal buttafuori nelle discoteche all’addetto delle pulizie nelle metropolitane. Ma tutto questo, in altri casi gli farebbe onore.
Aveva anche il brutto vizio del gioco. Ha perso davvero tanti soldi e soprattutto la casa lasciatagli in eredità dai genitori. Ma almeno il gioco gli ha permesso di conoscere dei personaggi influenti che lo hanno sistemato come impiegato in un quotidiano nazionale.
Nel giro di qualche anno è avvenuta la grande trasformazione. Ha tagliato i capelli lunghi da figlio dei fiori e abbandonato
l’abbigliamento da zoticone. È passato direttamente dall’ufficio alla redazione, diventando alla velocità della luce giornalista professionista e caposervizio di politica.
Dallo scorso anno lavora in una nota agenzia stampa in veste di caporedattore. I suoi colleghi non lo amano: lo definisco cafone e incompetente. Invero, si limita a selezionare le veline, ma è referente di gente che conta. Dalle mie parti si dice che l’abito non sempre fa il monaco e neanche il bravo giornalista, ma Angelo Borgomastro se non apre la bocca e resta immobile fa la sua porca figura.
È tutto per oggi
Danilo Lenzo
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