Esclusiva de “Il Fatto Quotidiano”
Maria Maggiore, Alexander Fanta, Pascal Hansens, Ariane Lavrilleux, Harald Schum
12 dicembre 2023
L’Italia potrebbe affossare l’accordo sulla prima legge europea per la libertà di stampa se non conterrà la possibilità di spiare i giornalisti in nome della “salvaguardia nazionale”. È quanto emerge dai verbali di una riunione a porte chiuse del Consiglio europeo visionati dai consorzi di giornalismo Investigate Europe (IE), DiscloseeFollowTheMoney.
Nel resoconto dell’incontro degli ambasciatori a Bruxelles, tenutosi il 22 novembre, si legge che il governo italiano definisce il mantenimento del paragrafo sulla sicurezza nazionale (art. 4) una “linea rossa”. Nel linguaggio diplomatico significa che è pronto a votare contro l’intero regolamento se verrà cancellata. L’Italia è l’unica a essersi spinta così avanti, anche se altri sei Paesi – Francia, Finlandia, Cipro, Svezia, Malta e Grecia – sono favorevoli a usare programmi spia sui cronisti in nome della sicurezza nazionale. Contattati, solo Francia, Finlandia e Svezia hanno confermato le loro posizioni, gli altri non hanno risposto.
Venerdì si terrà il negoziato finale tra Europarlamento, Consiglio e Commissione (il “trilogo”). I sette Paesi rappresentano solo il 34% della popolazione Ue, ma hanno una “minoranza di blocco” in grado di impedire l’approvazione del regolamento considerato che l’Ungheria voterà in ogni caso contro. Se accadesse, crollerebbero gli sforzi di chi per decenni ha cercato di far approvare una legge europea sull’indipendenza dei media.
Il regolamento è stato proposto nel settembre 2022 dalla commissaria Vera Jurova proprio in risposta agli scandali Predator e Pegasus, i sofware spia trovati sui cellulari di alcuni giornalisti in Grecia, Francia, Spagna e Ungheria.
I media “tengono sotto controllo i politici. Se vogliamo che svolgano il loro importante ruolo nella democrazia, dobbiamo introdurre una rete di sicurezza europea”, ha spiegato a IE. Il regolamento ha il vantaggio di essere direttamente applicabile da un giudice italiano, non ci sarà bisogno di una trasposizione nazionale, come per le direttive. Il testo tutela l’imparzialità dei media pubblici, con l’obbligo di introdurre procedure di nomina trasparenti nelle posizioni dirigenziali; richiede che i capiredattori siano liberi nelle loro decisioni editoriali; obbliga i proprietari dei media a rivelare i conflitti di interessi; vieta lo spionaggio dei giornalisti e crea un board di controllo per garantire che gli Stati rispettino le norme Ue.
Venerdì si affronteranno due schieramenti: da una parte il Consiglio, che il 21 giugno scorso, sotto la pressione del governo Macron, aveva aggiunto al paragrafo che vieta di spiare i giornalisti la frase trappola: “Il presente articolo non pregiudica la responsabilità degli Stati membri di proteggere la sicurezza nazionale”. Dall’altra, l’Europarlamento che a ottobre ha votato per ridurre al minimo la possibilità di far ricorso alla “clausola di sorveglianza” considerando non negoziabile la protezione degli informatori e delle fonti.
Secondo gli eurodeputati, i giornalisti possono essere intercettati o spiati con software solo se ciò non è correlato alle loro attività professionali; non pregiudica o rivela l’accesso alle fonti dei giornalisti; è giustificata, caso per caso, per prevenire o perseguire un grave reato; sia ordinato da un’autorità giudiziaria indipendente e soggetto alla sua revisione.
“I governi non hanno il diritto di controllare i telefoni dei giornalisti, il Parlamento è stato chiaro. È inaccettabile che gli Stati cerchino ora di reintrodurre questo paragrafo dalla porta di servizio”, dice l’eurodeputato verde tedesco Daniel Freund. Anche il suo collega di destra, il francese Geoffroy Didier, ha ripetutamente chiesto a Macron “di abbandonare il suo piano per spiare i giornalisti”. “Il regolamento deve proteggere il pluralismo, non autorizzare lo spionaggio”, spiega.
La scorsa settimana, 17 associazioni e istituti Ue di media e giornalismo hanno pubblicato un appello dicendosi “profondamente preoccupati” se il testo finale “stabilisse condizioni per la divulgazione delle fonti non conformi agli standard internazionali sui diritti umani”.
Per superare l’impasse, il governo tedesco ha presentato una proposta dell’ultimo minuto: “Il presente articolo non pregiudica la responsabilità degli Stati membri per la salvaguardia delle aree di loro esclusiva competenza”. Se così fosse, l’ultima parola spetterebbe ai tribunali.
Maria Maggiore
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