Il salvataggio pubblico dell’INPGI costa all’erario 2,5 miliardi

dal Fatto Quotidiano
Fiorina Capozzi
Roma, 6 dicembre 2021

In vent’anni nessuno si è accorto di nulla. Eppure i segnali del dissesto dell’Inpgi, la Cassa previdenziale dei giornalisti italiani, erano sotto gli occhi di tutti. Lo ha spiegato senza mezzi termini Giuseppe Pisauro, presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, in audizione lo scorso 23 novembre. Così il salvataggio dell’ente per mano dell’Inps, previsto nella manovra del governo Draghi, è un regalo fatto ad una élite di influenti giornalisti professionisti contrattualizzati, fra cui molti politici. Non anche dei liberi professionisti e dei collaboratori precari.

Premia una gestione poco oculata e va anche a danno delle casse pubbliche per almeno 2,5 miliardi, rappresentando un “pericoloso precedente”.

“Fatto a queste condizioni, il salvataggio a carico del bilancio pubblico, oltre a indurre a sottovalutare l’inefficacia delle sorveglianze (Ministero del lavoro, Tesoro, Corte dei Conti e Covip, ndr), finisce per premiare ex-post il moral-hazard degli organismi di gestione e dei rappresentanti di categoria, configurandosi come pericoloso precedente all’interno della previdenza di base che a oggi contempla ventitré Casse privatizzate tra il 1994 e il 1996” si legge nel documento.

Sulla pericolosità del precedente concorda anche la Corte dei Conti, sempre in audizione il 23 novembre scorso: “La norma in questione presenta profili di problematicità, potenzialmente idonei a provocare, tra l’altro, effetti emulativi di portata sistemica”.

E ricorda come “negli ultimi anni la Corte dei conti, nei suoi referti al Parlamento, ha sottolineato l’acuta crisi della Gestione sostitutiva INPGI e ha ripetutamente posto all’attenzione l’esigenza di adottare severe misure di risanamento in assenza delle quali non sarebbe (stato) possibile garantire il necessario equilibrio dei conti, minato soprattutto, ma non soltanto, dalla devastante crisi del settore dell’editoria e, dunque, dalla forte contrazione delle entrate a copertura delle prestazioni”.

Come se non bastasse ciò, il salvataggio dell’ente previdenziale dei giornalisti, operativo dal primo luglio 2022, “accade mentre il disegno di legge di bilancio affida a organismi privatistici, come i Fondi bilaterali, la responsabilità di erogare integrazioni salariali a tutti i lavoratori dipendenti non già assicurati con Cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria (CIGO/CIGS ) e per le medesime causali di CIGO/CIGS, chiedendo loro di prepararsi a finanziare le prestazioni in piena autonomia di bilancio con risorse raccolte dai loro iscritti”. Come a dire due pesi e due misure.

In totale, con la manovra, secondo il documento Upb, il governo impiegherà nel salvataggio della cassa principale dei giornalisti 2,5 miliardi fino al 2031. “Non si forniscono stime per gli anni successivi”, come spiega il documento.

Ma è certo che l’operazione avverrà senza nessun taglio alle pensioni d’oro e ai privilegi di una ristretta ed influente élite da cui sono tagliati fuori buona parte dei giovani, sottopagati e precari.

Questi ultimi infatti rientrano nella Cassa Inpgi 2, esclusa dal salvataggio pubblico. Una scelta precisa che il premier avrebbe preso su consiglio del suo capo di gabinetto,  Antonio Funiciello, che è anche da anni consigliere d’amministrazione dell’Inpgi.

Eppure, secondo il documento, tutti sapevano della dissestata situazione della cassa: “L’ultima valutazione positiva della Corte dei Conti sul bilancio tecnico dell’Inpgi risale al 2001. Tre anni dopo, nel 2004, la Corte prefigurava (…) criticità della gestione già dal 2017 per quanto riguarda il rapporto tra gettito contributivo e prestazioni e un possibile azzeramento del patrimonio dal 2034”. Per i magistrati contabili sono “i bilanci del 2008 e del 2009, in cui si comincia a individuare come scadenza cruciale la fine del secondo decennio degli anni Duemila, sia per il disavanzo tra contributi e prestazioni sia per l’avvio del processo di deterioramento del patrimonio” come si legge nel testo.

Tutto noto, quindi, da lungo tempo sia alla magistratura contabile che agli organismi di vigilanza: il Ministero del lavoro, la Covip e il ministero dell’economia. Ma si è arrivati al “limite dell’insostenibilità”.

Così il governo Draghi ha deciso di scorporare “la gestione deficitaria, i cui squilibri sono addossati all’INPS e, pertanto, al bilancio pubblico, mentre per l’altra gestione è confermata la natura privatistica e autonoma” chiarisce l’Ufficio parlamentare di bilancio.  “Si applica, in altri termini, un’operazione di spin-off simile a quelle spesso osservate in ambito bancario (con la bad-bank nazionalizzata e la newco rinnovata sul mercato)” precisa il documento.

D’altro canto, secondo l’Upb, questa soluzione è il male minore. Almeno rispetto all’altra prospettata dalla presidente dell’Inpgi, Marina Macelloni, che per salvare l’ente dallo spin-off avrebbe voluto portare sotto il cappello dell’ente prima la categoria dei comunicatori e poi addirittura l’intera filiera dell’editoria. Conservando pure una moltiplicazione di poltrone.

“Anche se tardiva e con i citati problemi di moral hazard e iniquità di trattamento, questa soluzione resta comunque preferibile all’altra, pure comparsa nel dibattito degli ultimi mesi, di spostare dalla platea degli assicurati all’Inps a quella dell’INPGI-AGO alcune tipologie di lavoratori dipendenti che svolgono mansioni attinenti alla comunicazione (non necessariamente giornalisti) – conclude il documento -. Questa soluzione non solo avrebbe ridotto i contribuenti attivi dell’INPS, ma avrebbe rappresentato soltanto una soluzione temporanea dei problemi strutturali dell’INPGI-AGO”.

Fiorina Capozzi

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