Le minacce dell’ENI: il parlamento può fermare le intimidazioni ai giornalisti

Dal quotidiano Domani
Giulia Merlo
Roma, 4 agosto 2021

La libertà di stampa è un principio che nella teoria (e nelle dichiarazioni pubbliche) tutti difendono. In parlamento invece latitano e la legge che dovrebbe introdurre una responsabilità aggravata in caso di cause temerarie contro giornali e giornalisti è da tempo sparita dall’ordine dei lavori.

La questione si ripropone con frequenza allarmante nella vita di tutti i giorni dei quotidiani: a Domani è successo, seppur in modo anomalo, la settimana scorsa. Eni ci ha mandato una diffida ad adempiere una richiesta di risarcimento di 100mila euro per un articolo sul processo milanese al colosso dell’energia, riservandosi però di procedere anche in via giudiziale davanti al giudice civile per una ulteriore rifusione dei danni.

Questo tipo di azione è quella che mette più in difficoltà le testate giornalistiche, soprattutto quelle più piccole: aziende o personaggi pubblici procedono con azione civile contro i giornali a prescindere dal fondamento della loro richiesta di risarcimento danni per lesione dell’immagine e anche solo il timore di un lungo iter giudiziario e di dover corrispondere cifre significative mette in enorme difficoltà chi i giornali li scrive, chi li dirige e chi li pubblica.

Un timore che spesso disincentiva a occuparsi di inchieste e approfondimenti, soprattutto quando riguardano persone dalla facile iniziativa legale a fini intimidatori.

La lista dei casi di richieste di risarcimento esorbitanti sono numerosissime: quando era direttore dell’Espresso, Giovanni Valentini ricevette una richiesta di risarcimento da 50 milioni di euro da parte di Silvio Berlusconi; Corrado Formigli ne aveva ricevuta una dalla Fiat per 7 milioni di euro. Tutte cause a costo zero – salve le spese legali – per chi le intenta anche senza fondato motivo ma potenzialmente onerosissime sia in termini di tempo che di conseguenze per i giornali che le subiscono.

Per evitare l’abuso di azioni civili contro i giornalisti, un mezzo c’è: una legge contro le cosiddette liti temerarie. E ne esiste anche una depositata nel 2018 al Senato, a prima firma del senatore Cinque stelle ed ex giornalista di Espresso e Fatto Primo di Nicola che, nel 1996, scrisse un articolo sulla casa di Massimo D’Alema e si vide querelare per violazione della privacy con richiesta di risarcimento di un miliardo di lire.

La proposta vuole modificare l’articolo 96 del codice di procedura civile, introducendo che, nei casi di diffamazione a mezzo stampa, in cui «risulta la malafede o la colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per risarcimento del danno», il giornale chiamato in causa possa chiedere al giudice di condannare l’attore oltre che alle spese di causa anche «al pagamento a favore del richiedente di una somma, determinata in via equitativa, non inferiore alla metà della somma oggetto della domanda risarcitoria».

Il disegno di legge è solo l’ultimo presentato nel corso degli ultimi vent’anni: risale al 2018 ed è ancora fermo in Senato. Durante il governo Conte 2, il Movimento 5 stelle e il Partito democratico avevano trovato l’accordo e, con la nascita del governo Draghi, si era stabilito che il disegno di legge fosse tra i primi di origine parlamentare da calendarizzare.
Invece, tutto è ancora fermo e il tentativo è quello di riportare in calendario il ddl a settembre. Tra i partiti favorevoli c’è il Movimento 5 Stelle e anche il Partito democratico continua a prestare attenzione al progetto. Tra gli scettici dentro la maggioranza ci sono invece Italia Viva, Forza Italia e la Lega.

Il ddl civile

Tuttavia, un’altra strada ci sarebbe e sarebbe certamente più rapida e di certa riuscita: inserire la norma sulle liti temerarie in caso di diffamazione a mezzo stampa nella riforma del civile, dove per altro il maxi emendamento del governo ha già previsto una modifica all’articolo 96 del codice di procedura civile.

L’emendamento della ministra della Giustizia Marta Cartabia estende la possibilità di applicare l’articolo 96 sulla responsabilità aggravata alla parte soccombente in giudizio, che abbia agito o resistito con la coscienza dell’infondatezza dell’azione o dell’eccezione, dunque con mala fede o colpa grave.

L’emendamento prevede che, con la sentenza di condanna, il giudice possa anche d’ufficio stabilire il pagamento di una somma equitativamente determinata, «non superiore al doppio delle spese liquidate» oltre al pagamento di un’altra somma alla cassa delle ammende.

Sarebbe sufficiente, dunque, che con l’accordo della maggioranza e del governo si aggiungesse un comma per specificare l’estensione di questa norma ai casi di diffamazione a mezzo stampa, in modo da ricomprenderli senza possibilità di equivoci, aumentando in questo caso l’entità del risarcimento liquidabile dal giudice.

Inserire la norma nel ddl civile significa darle certa approvazione e confermare la volontà di questa maggioranza e anche del governo a tutelare la libertà di stampa. Il disegno di legge che deve ridurre del 40 per cento i tempi del processo civile, infatti, è il pilastro portante dell’accordo con l’Unione europea per i fondi del Recovery e andrà tassativamente in approvazione al Senato in settembre ed entro fine anno anche alla Camera.

Giulia Merlo

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