Salvare il lavoro e se stessi votando no all’accordo Mondadori

Speciale per Senza Bavaglio
Valerio Boni
Bergamo, 23 aprile 2020

13 luglio 2020, Cari colleghi, il CdR comunica che al termine di un’estenuante trattativa è riuscito a ottenere per tutti i giornalisti l’assorbimento dei superminimi aziendali e ad personam che erano stati istituiti con i contratti integrativi del 1988 e 1992, con una conseguente riduzione dello stipendio lordo e netto. L’azienda si riserva di convocare un nuovo incontro entro 90 giorni per valutare se queste misure saranno sufficienti o se saranno necessari ulteriori sacrifici a seguito del cambiamento di periodicità di alcune testate, che richiedono un minore impegno redazionale. Si tratta di un grande vittoria dell’esecutivo, che ancora una volta è riuscito a salvaguardare l’occupazione.

Fantascienza? Forse, o anche no. Un comunicato simile a questo potrebbe essere recapitato ai pochi giornalisti superstiti di Segrate, se ancora una volta asseconderanno i capricci dell’azienda seguendo l’invito di CdR, Lombarda e FNSI. Con la firma dell’accordo Mauri e soci stanno già festeggiando, ormai certi di poter intascare i circa 200 milioni di euro di aiuti. Il Covid-19 in fondo è stato un inatteso alleato nella roadmap intrapresa nell’ormai lontano 2013. Se tempo fa era stata respinta al mittente la proposta di un taglio volontario degli stipendi, oggi la maggior parte dei giornalisti è disposta ad accettarlo sotto forma di cassa integrazione, senza nemmeno immaginare che il taglio potrebbe diventare definitivo, almeno fino allo step successivo.

Mai come oggi i giornalisti Mondadori hanno potuto disporre di un’arma tanto potente. L’assemblea online delle 10,30 rappresenta un’occasione più unica che rara per fare inceppare gli ingranaggi di una macchina che ha già distrutto buona parte di quanto costruito in 110 anni. I dipendenti sono imbufaliti (in realtà usano termini che esprimono più efficacemente lo stato d’animo), ma allo stesso tempo terrorizzati. Il clima cupo che si respira da qualche anno nei corridoi di palazzo Niemeyer si è insinuato nelle abitazioni private di chi ormai convive con il male minore. Che poteva essere minore nel 2013, quando si sacrificavano a cuor leggero colleghi considerati di serie B, solo perché consigliato da Giovanni Negri, all’epoca presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, che non sapeva, o finse di non sapere (ma l’ignoranza non è certo una giustificazione) come fossero inquadrati i giornalisti di quelle redazioni. E da allora le strategie suggerite si sono sempre dimostrate fallimentari e controproducenti.

In questo momento i colleghi si sentono come gli agnelli alla vigilia di Pasqua, o i maiali a fine anno, sono convinti che se sopravvivranno alla macellazione avranno il mangime garantito per altri 12 mesi. In fondo si tratta semplicemente di passare da una supposta alla sodomia per soddisfare i piaceri di chi stava già programmando di distribuire un dividendo costruito sui continui sacrifici richiesti ai lavoratori. E se ci hanno rinunciato all’ultimo momento non è a causa di uno scrupolo di coscienza, è solo perché chi gratifica i soci con l’utile potrebbe non avere accesso agli aiuti, vale a dire a quei 200 milioni che si sa già come far fruttare.

E pensare che molti di quanti hanno già deciso di appoggiare quella che è a tutti gli effetti una proposta di suicidio sono cresciuti con il mito dei partigiani, dispiaciuti del fatto di non poter cantare allegramente “Bella ciao” tra qualche giorno. Ma tutto è più semplice quando sono altri a fare il lavoro e si sacrificano per il benessere di altri. Quando si tratta di lottare per la propria libertà è più comodo nascondersi, per il timore delle rappresaglie. Qui non ci sono ponti da far saltare, basta dire, tutti insieme, no a una proposta che così non può essere accettata, si può fare di meglio. Molto meglio. Certo, dall’altra parte non ci sono dei gentiluomini, ma proprio per questo è arrivato il momento di dire basta: a chi fa proposte e a chi le appoggia, sperando dipenda solo da ingenuità e dilettantismo. Per par condicio, dopo avere citato il 25 aprile, si potrebbe dire che alle 10.30 scatta “l’ora delle decisioni irrevocabili”. Dopodomani potrebbe essere troppo tardi.

Valerio Boni
valeboni2302@gmail.com

 

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