Il Fondo ex Fissa potrebbe essere stato usato arbitrariamente a ripartizione

Speciale per Senza Bavaglio
Barbara Pavarotti
Roma, 9 marzo 2020

Studiare l’ex fissa significa entrare in un tunnel dell’assurdo.  Il primo aspetto, il più eclatante, è che questo fondo di previdenza integrativa è fuori da ogni regola cui devono sottostare fondi di questo tipo. In nessun punto dell’atto di nascita del fondo, nel 1985, e dei successivi accordi, è scritto se sia “a capitalizzazione o a ripartizione “.

Insomma, è un fondo del genere “facciamo come ci pare”. Da qui l’inevitabile crac.

I sistemi previdenziali si dividono in due categorie:

1)        I sistemi a ripartizione sono quelli in cui i contributi versati dai lavoratori finanziano chi ha diritto alla pensione. L’Inpgi e il sistema pensionistico pubblico dello stato italiano funzionano così.

2)        I sistemi a capitalizzazione sono invece quelli in cui i contributi versati singolarmente vengono reinvestiti e il capitale viene restituito ai creditori all’età pensionabile. Così funzionano i sistemi previdenziali privati come i fondi integrativi e le pensioni complementari. I sistemi a capitalizzazione sono in sostanza un risparmio privato che matura interessi nel corso degli anni.

COSA E’ IL FONDO EX FISSA?

Un disastro normativo. Una totale assenza di regole certe, in mancanza delle quali, dunque,  ogni interpretazione è buona. Salvo rivelarsi regolarmente dannosa per i circa 2200 creditori attuali.

I giudici, nel respingere le varie cause intentate dai giornalisti,  pur affermando la certezza del diritto all’ex fissa, hanno scritto: “Non è un trattamento previdenziale di legge, ma integrativo previsto dalle parti sociali con accordi contrattuali”.

E’ vero, ma questa frase stride con l’articolo 1 della “Convenzione per la gestione di forme previdenziali integrative per i giornalisti professionisti”  firmata da Fieg, Intersind, Rai, Fnsi e Inpgi, che ha ridefinito nel 1994 il fondo ex fissa. Articolo che dice: “E’ una prestazione previdenziale integrativa di quelle previste dall’assicurazione obbligatoria”.

Insomma, sarebbe bene mettersi d’accordo, no? Non sarà un “trattamento previdenziale di legge”, ma rientra nel campo delle “assicurazioni obbligatorie”. E comunque gli accordi contrattuali vanno rispettati.  Ma non si possono rispettare perché i soldi in cassa non ci sono.

E perché i soldi in cassa non ci sono? Semplice. Perché il fondo è stato usato a ripartizione, infischiandosene dell’accantonamento nominativo, individuale, ovvero del famoso 1,50 per cento  mensile versato dagli editori per ciascuno dei dipendenti e calcolato sulla base dei singoli stipendi. Eppure, c’è scritto tanto chiaro negli atti del fondo: “Gli iscritti hanno diritto all’accantonamento a loro nome di un capitale rivalutato”.

Questa regola è stata completamente bypassata dai gestori del Fondo (Inpgi e Fnsi, mentre la Fieg è contribuente e co-creatrice insieme alla Fnsi) fin dall’inizio di tutta l’avventura.

E perché è stata bypassata? Perché i geni che hanno partorito questo fondo previdenziale integrativo, si sono inventati una regoletta del tutto indipendente dall’accantonamento dell’1,50 per cento mensile. Ovvero, come si legge nell’atto  di nascita del fondo del 1985,  il capitale così accumulato “è pari a sette mensilità di retribuzione, calcolate sull’ultimo mese di stipendio”. Mensilità destinate ad aumentare, fino a 13, se si è direttori o vicedirettori. Più, tanto per gradire, una mensilità aggiuntiva se si avevano 20 anni di servizio. Quindi, chiaramente, questa regola ha favorito chi aveva già ottimi stipendi e pensioni e penalizzato gli altri , provocando, con ex fisse non supportate dall’effettiva contribuzione, il default del Fondo.

Cosa c’entrino le mensilità con l’accantonamento dell’1,50 per cento non è dato sapere, non è spiegato. Ma è stata proprio questa regola a  creare la palese disparità fra entrate e uscite. Capito ora perché sono dei geni? Se entra X è molto evidente che io non posso ridare 2X, no? Ma non lo era per la Fnsi, la Fieg e nemmeno per l’I’Inpgi, che ha  sottoscritto l’accordo del 1994, dove è stata ribadita  bene la  regola, sapendo perfettamente che perseverare è diabolico? Proprio  quell’Inpgi che ora piange dicendo che non può ridare i soldi a nessuno.

Ok, è andata. Di fatto lo scandalo vero è l’uso, secondo questa inerpretazione, del tutto illegittimo del fondo ex fissa a ripartizione. Come si possa trasformare un accantonamento nominativo in un uso a ripartizione lo sanno solo loro, visto che nessuna norma dell’ex fissa lo prevede.

Di conseguenza i soldi di ognuno, frutto della propria contribuzione individuale,  sono stati usati per pagare altri, come nel sistema pensionistico generale.

Ma qui casca l’asino. L’ ex fissa non fa parte della previdenza generale, è una previdenza integrativa di fine rapporto, se il Fondo fosse soggetto alle regole a ripartizione di tutta la previdenza sarebbe di competenza Inpgi, che invece, oculatamente, si è riservato solo il ruolo di gestore. Insomma, come la rigiri, la cosa è messa male, non quadra.

Dunque cos’è questo fondo ex fissa? Questa è una domanda chiave. Non fa parte del bilancio Inpgi (anche se il Cda Inpgi approvava i bilanci del Fondo fino al 2006) , è una roba separata, integrativa, frutto di accordi contrattuali, ma viene erogata dall’Inpgi. Perché è previdenza e la previdenza non può essere erogata né dal sindacato né dalla Fieg, ovviamente.

Ma il punto più importante, quello che finora  NESSUNO HA MAI PRESO IN CONSIDERAZIONE,  NON E’ MAI STATO SOLLEVATO IN NESSUNA VERTENZA,  NON E’ MAI STATO OGGETTO DI UN ESPOSTO  è che i gestori si sarebbero arrogati il diritto di usare questo fondo a ripartizione senza che fosse stato messo per iscritto e non fornendo alcuna informazione in proposito. In questo caso avrebbero commesso un abuso. Insomma, i gestori insomma avrebbero USATO IN MODO ARBITRARIO IL FONDO EX FISSA.

Questo anche tenendo conto che i proprietari del Fondo sono tutti i creditori, perché lì sono custoditi i loro soldi, versati individualmente per ognuno dagli editori. La presidente uscente dell’Inpgi, Marina Macelloni, ha dichiarato che l’Inpgi, per il fondo ex fissa, è “come una banca”. Allora noi tutti ne siamo i correntisti, quindi i titolari di questi soldi (diritto sancito da tutte le sentenze). L’unica differenza con la banca è che i creditori NON POSSONO RISCUOTERE I LORO SOLDI perché il fondo è incapiente.

Così in effetti è scritto nell’articolo 11 della Convenzione del 1994: “In relazione al regime di completa autonomia finanziaria del Fondo, l’Inpgi è esonerato dall’obbligo di corrispondere le prestazioni in assenza delle necessarie disponibilità finanziarie”.

Autonomia finanziaria? Fin dove arriva questa autonomia finanziaria? A usare i soldi accantonati individualmente per far fronte alle uscite generali? E, in questo caso, chi ha autorizzato i gestori del Fondo a fare questo? Tramite quale norma scritta si sono arrogati questo diritto? Non esiste nessuna regola scritta, ribadiamo, esiste solo un uso che si sono inventati loro in assenza di una normativa. Siccome sono molto furbi, pensano sempre di poter fare come gli pare, senza regole, senza informare minimamente i creditori.

Ma, se tutto quello che abbiamo qui scritto è vero – stavolta non dovremmo fargliela passare liscia. Perché c’è un punto fondamentale che va a nostro totale danno:  se il Fondo non fosse stato usato (senza alcuna legittimità) a ripartizione, la disponibilità finanziaria ci sarebbe. Ovvero avrebbero dovuto esserci i soldi dell’accantonamento individuale mensile dell’1,50 per cento versato per ogni singolo dipendente dal rispettivo editore. Ma questi soldi non ci sono più. Ci sembra che l’accantonamento individuale sia stato una farsa, una presa in giro. Sconcerta che nessuno sia chiamato a rispondere di questo.

Ma abbiamo in serbo altre chicche sull’ex fissa, seguiteci nelle prossime puntate. Siamo solo all’inizio del viaggio in cui l’impossibile diventa possibile.

Barbara Pavarotti
Comitato “Diritto ex fissa”

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