Speciale per Senza Bavaglio
Andrea Montanari
Milano, 6 novembre 2019
Passi l’investimento (120 milioni) per lo stabilimento nel Sud Italia, in Basilicata, per stimolare e sostenere il lavoro nel Meridione. E’ un bel segnale per l’economia nazionale. Passi la novità commerciale e alimentare assoluta e la sfida con l’altro colosso italiano delle merendine. Come dicono gli americani: business is business. Passi pure la “novità” in termini di advertising, ossia l’utilizzo dei dipendenti per fare i testimonial (e non i padroni delle ferriere), anche se da anni si è già notato questo trend.
Ma che da giorni e settimane, e oggi ancora di più, i quotidiani e giornali italiani diano tutto questo risalto ai biscotti made in Nutella è alquanto eccessivo. Vabbé che Ferrero è il primo gruppo industriale italiano del settore (fatturato di oltre 10 miliardi) e che negli ultimi anni ha definito acquisizioni in America per quasi 4 miliardi. Ma sempre di merendina, anzi biscotto, si tratta. Un prodotto esistente da sempre nella dieta italiana.
E ieri, 5 novembre, è stata l’apoteosi. Soprattutto su un quotidiano nazionale, La Repubblica, giornale che sta cercando una sua identità dopo il cambio di direzione – Carlo Verdelli al posto di Mario Calabresi – e che storicamente si è sempre piccata di essere un livello sopra, al piano superiore.
Una paginata dedicata alla novità, presentata a dire il vero settimane fa, con tanto di eventi in giro per l’Italia – in piazza Gae Aulenti, a Milano, per un weekend, migliaia di persone sono state in fila, anche per più di un’ora, per assaggiarne uno, di biscotto – anche se ieri c’è stata la “prova sul campo”, con i dipendenti del colosso piemontese – come piemontese sono gli azionisti di Repubblica-Gedi, le famiglie De Benedetti e Agnelli-Elkann – in giro per i supermercati a fare i promoter.
Darne notizia si può, non è reato. Anche perché Ferrero è uno dei big spender pubblicitari del mercato italiano e quindi ha visibilità naturale. Anche perché è un unicum nel panorama industriale nazionale.
Quello che non va bene è l’eccesso di visibilità. Dicevamo di Repubblica. Ieri, martedì 5 novembre, una paginata intera dedicata alla “notizia”, la distribuzione nei super dei biscotti. Un servizio imponente con il brand “Nutella” già nel titolo. Corredato, poi, da 4-quattro-4 foto di dimensioni non certi minimali nei quali il marchio, il logo, il brand, appunto, è ben in vista. Non in una sola foto, ma in tutte e quattro.
Non è un po’ eccessivo? Anzi: non è troppo? Anche perché Repubblica nei giorni scorsi, in occasione della Maratona di New York – evento globale, ci mancherebbe – ha dedicato una paginata al nuovo modello di calzatura tecnico-sportiva, Nike, che garantisce performance top e vincenti. In questo caso, il marchio non era, per fortuna, nel titolo dell’articolo, ma nella didascalia della foto, all’interno dell’articolo e le immagini stilizzate (2) della calzatura non lasciavano dubbi sul logo e sulla casa di produzione. E Nike non investe, in advertising sui cartacei, come Ferrero…
Ps: ovvio che ieri, martedì, non sia stata solo Repubblica a celebrare, osannare e incensare i biscotti by Nutella. Ma anche il Corriere della Sera torna sull’argomento. Con tanto di foto, più piccola, dei ragazzi-promoter. Però, almeno il quotidiano di via Solferino ha avuto acume, ha fatto ricorso al contenuto-furbo: un articolo sul cambiamento epocale dei testimonial aziendali, dal sior Rana (compare in foto, non sia mai che i tortellini restino indigesti), ai dipendenti Ferrero.
Nessuno dice nulla? Nessuno si indigna? Dove sono le commissioni di disciplina? Dove sta la deontologia professionale della categoria, del contratto? Dove sono le separazioni contenuti-pubblicità? Almeno un tempo c’era la dicitura “Pagina Pubblicitaria” che tutelava il giornalismo e l’informazione. Un tempo. Una volta, Appunto.
Andrea Montanari
Presidente del Collegio Sindacale OdG Lombardia
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